Riconosciuto il ruolo di Chiesa e religioni nella lotta all'Aids
Si conclude oggi la Conferenza internazionale
Bangkok (AsiaNews/Ucan) Si chiude oggi la 15/ma Conferenza internazionale sull'Aids, nella quale per la prima volta i delegati religiosi hanno avuto una presenza più visibile, segno dell'unanime riconoscimento del loro importante contributo nella lotta al virus letale. Le Nazioni Unite hanno sottolineato con forza la necessità di fornire ai Paesi in via di sviluppo (Pvs) maggiore quantità di medicinali antiretrovirali - che contribuiscono a ridurre il contagio dei bambini nati da madri sieropositive per combattere la diffusione della malattia, lanciando un allarme per l'aumento di infezioni tra le donne e nel continente asiatico.
Per la prima volta, gli organizzatori della Conferenza hanno predisposto una stanza per la preghiera per i diversi rappresentanti religiosi cattolici, protestanti, musulmani, buddisti, ebrei - che secondo un calendario prestabilito si alternavano nelle loro forme di meditazione e liturgie. "La comunità religiosa si è sentita particolarmente benvenuta", ha detto Linda Hartke, coordinatrice dell'Alleanza ecumenica per l'advocacy, una rete di 85 Chiese e gruppi religiosi impegnati nella lotta all'Hiv/Aids.
Contemporaneamente alla Conferenza internazionale, il 13 luglio, sempre nella capitale thailandese, si è svolto un meeting di circa 80 preti, religiosi e laici cattolici che lavorano nei settori d'intervento contro l'Aids in tutto il mondo, in particolare Cambogia, Cina, India, Filippine, Taiwan, Thailandia, Vietnam. Organizzato dalla Caritas internazionale, il meeting è stato occasione di condivisione di esperienze, risposte, problemi delle varie chiese locali nell'assistenza ai malati.
In un suo intervento, Usanee Nanasilp, segretario della Commissione episcopale thailandese per la pastorale della salute, ha detto che il comitato per l'Aids è stato creato nel 1990 e oggi ha 28 organizzazioni che offrono formazione, assistenza, consulenza, medicinali, case di cura ai pazienti, creando per loro opportunità di lavoro e stando vicino ai malati terminali. Mons. Bernard Moras, vescovo di Belgaum e presidente della Commissione episcopale indiana per la pastorale della salute, ha detto che nel Paese la Chiesa è impegnata nella lotta all'Aids dal 1986, quando si è registrato il primo caso d'infezione, e gestisce l'80% di tutte le strutture sanitarie delle zone rurali e 51 centri medici solo per i malati di Aids. Padre Joseph Zhang Kexiang, vicario generale della diocesi di Liaoning (Cina), si è detto sorpreso perché il governo locale gli ha dato il permesso di aprire un centro per i malati di Aids. Suor M. Consolata Bui Thi Bong, medico presso la Clinica della carità Kim Long a Hue (Vietnam centrale) ha detto che ogni giorno il centro fornisce assistenza a circa 300 poveri che hanno contratto il virus e organizza corsi di formazione per volontari.
Durante il meeting, si sono registrate anche posizioni discordanti da quella ufficiale della Chiesa cattolica sulla lotta e prevenzione della malattia.
Nel 2003, i cardinali Javier Lozano Barragan e Alfonso Lopez Trujillo, presidenti rispettivamente del Pontificio consiglio per la pastorale della salute e del Pontificio consiglio per la famiglia, hanno detto che la Chiesa deve aiutare le persone a cambiare stile di vita e che fedeltà, castità e astinenza sono le vie principali per prevenire il contagio e la diffusione della malattia. Secondo i due cardinali, favorire l'uso del preservativo, cui la Chiesa si oppone in quanto contraccezione artificiale, significa promuovere la promiscuità e contribuire di fatto alla diffusione dell'Aids. (MR)