Rawalpindi: una telefonata della polizia dietro le (false) voci della morte di Zafar Bhatti
Rawalpindi (AsiaNews) - "Ho ricevuto una telefonata dalla polizia, in cui mi hanno detto che mio fratello era stato ucciso in prigione". La famiglia è subito "corsa al carcere", per vedere il corpo della vittima e conoscere le circostanze della morte. Tuttavia, le guardie "hanno negato l'accesso" e impedito il riconoscimento del (presunto) cadavere. È quanto racconta ad AsiaNews Naureen Bhatti, sorella del reverendo Zafar Bhatti, spiegando le circostanze che hanno portato a denunciare l'omicidio in cella del congiunto. Dietro la falsa notizia, circolata in modo diffuso sui media pakistani e internazionali, con la condanna di attivisti e personalità cristiane di primo piano, la telefonata della polizia alla famiglia in cui si annunciava l'assassinio dell'uomo, a processo per una vicenda di blasfemia. E il permesso negato alla famiglia di vederne il corpo.
Ieri la famiglia di Zafar Bhatti e la Chiesa di Rawalpindi hanno incontrato l'uomo in prigione, confermando che il pastore è vivo e in buona salute. Di contro, l'attacco in cella della scorsa settimana aveva come obiettivo un compagno di cella di Zafar, Muhammad Asghar, di nazionalità britannica, fede ahmadi e anch'egli accusato di blasfemia. Asghar e Bhatti condividevano la stessa cella al livello 4 della prigione di Adyala; una guardia carceraria, che dice di aver agito dietro "ispirazione divina", lo ha ferito in modo grave.
La notizia della presunta morte di Bhatti era circolata in modo rapido, rilanciata dalle numerose (e sedicenti) organizzazioni pro diritti umani che affermavano di difendere il leader cristiano e perorarne la causa in tribunale. Perfino la Chiesa locale aveva creduto alla morte, tanto che una parrocchia di Rawalpindi aveva organizzato una cerimonia funebre.
Oggi era in programma un'udienza del processo a carico di Bhatti, ma il dibattimento in aula è stato rimandato perché non è dato sapere al momento chi sia il rappresentante legale del leader cristiano. Da mesi, spiega la famiglia, non vi sono avvocati a difendere l'uomo, nonostante numerose organizzazioni rivendichino il loro impegno per la sua liberazione. Una fonte cattolica locale sottolinea che "non c'è più tempo per i giochetti" e la vicenda va risolta. "Bhatti ha sofferto abbastanza - aggiunge - e la famiglia sta vivendo un periodo terribile".
02/10/2014