Rapporti fra Cina e Vaticano: cooperazione e soprattutto pazienza per superare l’impasse
Pechino (AsiaNews) – Da quando papa Francesco è stato eletto come pontefice, si parla sempre più spesso di rapporti fra Cina e Vaticano, di incremento dei dialoghi, di imminenti rapporti diplomatici. L’entusiasmo frenetico di vari media e osservatori della Cina ha a disposizione pochi fatti: le parole di elogio di Francesco, le risposte compite dei portavoce cinesi, alcune aperture sui media del Partito comunista. Quello che si sa è l’alta e diffusa stima che Francesco riscuote sui social network cinesi, a causa del suo stile sobrio, del suo amore ai poveri e ai malati. Si sa anche che da anni sono in atto dialoghi fra rappresentanti vaticani e cinesi, ma (come è pure ovvio) non si conoscono in pubblico i contenuti. La scorsa settimana, ad esempio, una delegazione vaticana era a Pechino. Da parole filtrate qua e là sembra si sia parlato delle modalità di elezione e ordinazione dei vescovi cinesi, per evitare nuove ordinazioni di vescovi illeciti.
I problemi che pesano fra Santa Sede e Cina sono molti. AsiaNews desidera offrire ai suoi lettori le visioni e le voci di personalità impegnate in questi dialoghi. Questo è il motivo per cui abbiamo domandato alla sig.ra Wang Meixiu di presentare dal suo punto di vista le questioni e le prospettive di un rapporto fra Santa Sede e Repubblica popolare cinese. La prof.ssa Wang è membro dell’Accademia delle Scienze sociali di Pechino, che agisce spesso come think-tank del governo. Dalla sua analisi si comprende quanta strada ancora vi sia da percorrere perchè la Cina guardi alla Santa Sede non come un organismo politico. Allo stesso tempo ella sottolinea quanta pazienza è necessaria per le personalità vaticane per trovare una via di dialogo con la leadership che garantisca i diritti religiosi all'interno della società cinese contemporanea.
Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese, e papa Francesco, capo della Chiesa cattolica, hanno visitato gli Stati Uniti e le Nazioni Unite nello stesso periodo della fine di settembre. Il papa Francesco ha lodato ancora una volta il popolo cinese e ha espresso la propria volontà di visitare la Cina. Questo ha, ancora una volta, attirato l’attenzione dei media sui rapporti fra Cina e Vaticano.
Basandomi sulle mie ricerche, l’attuale situazione dei rapporti fra Cina e Vaticano ha un passato lungo e tortuoso. Nel 1922 la Santa Sede inviò l’arcivescovo Celso Costantini [più tardi creato cardinale] in Cina come primo Delegato apostolico nel Paese, la cui principale funzione era di supervisionare il lavoro dei missionari cattolici in varie parti della Cina continentale. Nel 1942, l’allora legittimo governo della Repubblica di Cina e la Santa Sede stabilirono relazioni diplomatiche. Da allora, il rappresentante della Santa Sede in Cina assunse il duplice ruolo di intrattenere rapporti con il governo e con la Chiesa locale.
Nel 1949 – con il ritiro del governo della Repubblica di Cina a Taiwan e la nascita della Repubblica popolare cinese – nacquero due regimi mutualmente indipendente sul territorio cinese. Dopo svolte e giravolte, l’allora Delegato apostolico arcivescovo Antonio Riberi, un tempo di stanza a Nanchino, raggiunse Taiwan nel 1952 per iniziare la sua missione di Internunzio apostolico nella “Repubblica di Cina”. Questa è l’origine delle attuali relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e le “autorità di Taiwan”.
In stridente contrasto, il governo della Repubblica popolare cinese non ha mai stabilito rapporti diplomatici con la Santa Sede, per non parlare di quello che i media spesso descrivono come una interruzione dei rapporti diplomatici avvenuta nei primi anni Cinquanta. Secondo le ricerche di esperti d’oltremare, l’arcivescovo Riberi tentò di contattare il governo della Repubblica popolare prima di lasciare la nazione, ma senza successo.
Nella susseguente Guerra Fredda fra Oriente e Occidente, Cina e Santa Sede sono state inevitabilmente influenzate dalla situazione. La Cina e la Chiesa cinese hanno tagliato i rapporti con “l’imperialismo”, Santa Sede inclusa. Il primo passo, dal basso, fu l’inizio del Movimento delle Tre Autonomie che culminò nel 1957 con l’inaugurazione a Pechino dell’Associazione cinese dei fedeli cattolici patriottici (il cui nome venne cambiato l’anno successivo con Associazione patriottica dei cattolici cinesi).
Questa si proponeva di interrompere i rapporti economici e politici con la Santa Sede, così come quelli “nella dottrina e nei canoni di obbedienza al Papa di Roma”. Negli anni seguenti, la Chiesa dell’Hubei elesse alcuni candidati all’episcopato e scrisse immediatamente alla Santa Sede per informarla, nella speranza che questa prendesse in considerazione la seria situazione delle tante sedi episcopali vacanti in Cina e approvasse i candidati, in modo da far sopravvivere la Chiesa.
Tuttavia, nel mezzo dell’atmosfera da Guerra Fredda, la Santa Sede condannò con fermezza il movimento “delle Tre Autonomie” e rigettò con forza la lista dei candidati all’episcopato. Quindi la Chiesa in Cina, in tale clima politico, iniziò una storia di ordinazioni episcopali senza la nomina papale e continuò sulla strada delle elezioni e ordinazioni di vescovi senza la partecipazione o la nomina del Papa. Negli anni Ottanta e Novanta, la pratica delle nomine papali dei vescovi cinesi venne – in silenzio e nella quiete – ripristinata.
Durante il periodo delle politiche di riforme e di apertura della Cina, la Chiesa cattolica locale ha esternato un’espressione visibile del desiderio religioso di essere “una, santa, cattolica e apostolica”. Tale espressione della Chiesa cinese sta nella richiesta fondamentale del diritto al credo religioso, osservando e salvaguardando il diritto di avere la nomina papale per i vescovi.
Inoltre, questa richiesta della Chiesa cinese ha ottenuto – dopo qualche tempo – la comprensione dei Dipartimenti interessati all’interno dei vari governi locali. Nel maggio 2006 l’agenzia di stampa Xinhua [organo semi-ufficiale del governo di Pechino ndt] ha pubblicato un comunicato dell’Amministrazione statale per gli Affari religiosi secondo il quale, dopo l’elezione dei candidati all’episcopato in Cina, la lista viene inviata alla Santa Sede. A causa di questo comunicato, i contatti e il dialogo fra il governo cinese e la Santa Sede sono progrediti sulle questioni relative alla Chiesa cattolica cinese.
Dato che la Santa Sede ha la forma di una città-Stato, ma di fatto è un’entità religiosa e il centro della leadership della Chiesa cattolica universale, le nazioni che trattano materie che riguardano la Chiesa cattolica devono lasciare che le proprie chiese locali possano seguire l’iter comune. Ad esempio, non importa che gli Stati Uniti e il Vaticano abbiano formalizzato i propri rapporti diplomatici nel 1984: tutti i vescovi degli Usa sono stati sempre nominati dal Papa.
Inoltre, la Santa Sede e il governo civile si consultano a vicenda riguardo gli affari delle Chiese locali e sulle altre questioni importanti, raggiungendo accordi o un consenso di massima. Con comprensione, prendono poi le azioni necessarie in maniera corretta ed evitano i conflitti. Fino a oggi la Santa Sede ha firmato circa 200 accordi con molte nazioni (circa 200) in tutto il mondo.
Sfortunatamente il nostro governo cinese e la Chiesa cattolica, locale e globale incluso il Vaticano, hanno alcune ovvie differenze riguardo alcune questioni che riguardano la Chiesa cattolica. Di conseguenza, persino all’inizio del XXI secolo, alcuni vescovi della Chiesa ufficiale di Cina portano avanti delle “ordinazioni illecite” senza l’approvazione di Roma. Questi termini sono divenuti sinonimo di conflitto con la Santa Sede. Alcune di queste sono persino divenute oggetto di attenzione da parte dei media internazionali, in questa era di internet, colpendo in maniera negativa la Chiesa di Cina, il governo cinese e la Santa Sede.
Oltre alla questione delle nomine episcopali vi sono anche altri problemi fra Cina e Santa Sede che devono essere risolti, come ad esempio la divisione amministrativa delle diocesi; come risolvere la questione dell’identità religiosa di vescovi e sacerdoti non riconosciuti dal governo cinese e di coloro che sono definiti vescovi “illeciti” secondo i documenti della Chiesa (governo); se e in che modo la Chiesa in Cina debba mantenere “arcidiocesi” e “arcivescovi”; l’articolazione di alcuni termini o riferimenti nei documenti approvati dalla Conferenza dei vescovi della Chiesa cattolica in Cina [nota dell’editore: il Consiglio dei vescovi cinesi] e dalla Associazione patriottica dei cattolici cinesi.
Tuttavia, nei trent’anni trascorsi dalle riforme e dalle aperture della Cina, il governo cinese si è concentrato più sulle funzioni sociali della religione e c’è bisogno di tempo per comprendere la vita e i valori spirituali dei credenti – in modo particolare nei riguardi del cristianesimo; il mondo fuori dalla Cina: le relazioni internazionali e la comprensione del ruolo e dell’influenza internazionale dell’entità religiosa incarnata dalla Santa Sede.
Inoltre, anche la Santa Sede ha bisogno di un processo di comprensione nei confronti della tradizione culturale della Cina, dei procedimenti decisionali del Partito comunista cinese, del sistema e dell’approccio della gestione delle religioni, del modo cinese di pensare ed esprimersi, dei procedimenti mentali, dell’abilità di conoscere e fare esperienza del mondo al di fuori dei propri confini.
Di conseguenza, la loro comprensione dei problemi esistenti e delle questioni che devono essere risolte non è necessariamente la stessa. Inoltre, negli ultimi 30 anni, i contatti fra i due lati sono stati intermittenti e pieni di inciampi, e ad oggi ancora non hanno portato frutti. Questo inevitabilmente aumenta la sfiducia e il sospetto fra di loro. Serve che entrambi i lati siano pazienti, disponibili a sedersi e scambiarsi opinioni, fermamente impegnati a promuovere comprensione reciproca e fiducia.
Entrambi i lati potrebbero iniziare le discussioni su quelle questioni che possono facilmente portare al conflitto, o con i problemi che richiedono con più urgenza una soluzione, come la nomina dei vescovi cinesi, e su come evitare i conflitti causati dalle ordinazioni di vescovi che sono riconosciuti in maniera unilaterale.
Secondo alcuni fatti di base e secondo il senso comune la Chiesa in Cina – una delle organizzazioni di massa presenti nel Paese – deve agire in accordo con i canoni religiosi della Chiesa universale e con i regolamenti imposti dalla fede, per mantenere la propria identità religiosa; ma deve anche rispondere alle richieste basilari del governo cinese, in modo da provare la sua volontà di agire secondo le leggi e i regolamenti dello Stato riguardo le organizzazioni religiose.
Per lungo tempo la Chiesa cinese ha aderito alla posizione del patriottismo e dell’amore per la religione. Ha mostrato chiaramente di comprendere senza alcun dubbio la propria identità. Quindi, Cina e Santa Sede devono lavorare insieme per risolvere in maniera graduale i problemi emergenti all’interno della Chiesa cattolica cinese.
Inoltre, in accordo con la struttura organizzativa e la posizione strutturale usata a livello internazionale dalla Chiesa cattolica, l’attuale situazione della Chiesa cinese deve essere modificata. Una volta che l’attuale Consiglio dei vescovi riesca a sistemare tutti i vescovi della Cina e assuma la leadership della Chiesa, come fanno le altre Conferenze episcopali delle altre nazioni, allora potremo considerare a posto anche la struttura organizzativa della Chiesa cinese.
Quindi il Consiglio dei vescovi rimarrà, e deve rimanere all’interno della struttura legale prevista dalla Repubblica popolare cinese per le organizzazioni religiose; deve quindi guidare i fedeli a essere patriottici e ad amare la religione, salvaguardando l’unità nazionale e la stabilità sociale. Allo stesso tempo si deve ritenere che, con lo sviluppo della società e con la crescita dello status sociale, del livello di istruzione e della preparazione dei laici cattolici, la loro abilità di gestire gli affari della Chiesa verrà aumentata, così come sarà più forte la loro partecipazione negli affari della Chiesa e in quelli sociali.
Il ruolo della Associazione patriottica dei cattolici cinesi sarà trasformato, ed è inevitabile che essa trovi un nuovo compito per il futuro.
Dovrebbe essere notato anche che la Chiesa cattolica cinese sostiene e beneficia delle politiche di riforma e di apertura del Paese. Sostiene e incoraggia la direzione del governo cinese, tesa a migliorare le relazioni con la Santa Sede. Alcuni studi suggeriscono che la popolazione cattolica in Cina sia minore dell’uno per cento rispetto al numero intero, e che sia la minore fra le cinque grandi religioni del Paese. Negli ultimi circa 70 anni di storia, in modo particolare dal periodo delle riforme e dell’apertura, nel processo di apprendimento su come mettere in pratica i documenti del Concilio Vaticano II i membri della Chiesa cinese hanno imparato in maniera graduale a vivere in armonia con i fedeli di altre religione e con i non credenti.
In generale sono per la costruzione della nazione, per la stabilità sociale, e portano avanti in silenzio il proprio ruolo. Se le relazioni sino-vaticane migliorano i diversi livelli – partendo dallo Stato, passando per la società, le autorità locali fino a ogni singolo cattolico – ne otterranno benefici. Di certo, date le complesse situazioni che affrontano sia la Cina che la Santa Sede, il loro modo di comprendere i problemi e di risolverli è molto diverso. Abbiamo bisogno anche noi di approfondire la nostra pazienza, di essere più pazienti e di aspettare con ancora più pazienza.
*Ricercatrice presso l’Istituto Religioni mondiali dell’Accademia cinese delle Scienze sociali di Pechino
11/11/2016 11:03