24/04/2014, 00.00
BANGLADESH
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Rana Plaza, un anno dopo: le promesse tradite del governo e la riabilitazione dei sopravvissuti

di Nozrul Islam
Migliaia di persone, tra familiari e operai del tessile, hanno ricordato oggi le 1.135 vittime del crollo del Rana Plaza. Il disastro è stato il peggior incidente del settore mai avvenuto nel Paese. Oggi si parla di sicurezza sul lavoro, ma la strada è ancora lunga. I risarcimenti hanno coinvolto solo alcune famiglie; i sopravvissuti non sono stati reintegrati.

Dhaka (AsiaNews) - Più di 10mila persone questa mattina hanno partecipato a un sit-in a Dhaka nel luogo in cui, fino a un anno fa, sorgeva il Rana Plaza: nel crollo dell'edificio sono morte 1.135 persone, e migliaia di altre sono rimaste ferite. Nel primo anniversario del peggior incidente dell'industria tessile mai avvenuto in Bangladesh, migliaia di persone si sono fermate per ricordare le vittime, chiedere assistenza economica al governo e giustizia. In contemporanea al sit-in, le famiglie di chi non c'è più hanno bloccato l'autostrada Dhaka-Aricha, che collega il quartiere in cui è avvenuto il crollo.

A un anno dalla tragedia non si può dire che non si sia mosso qualcosa nel Paese: l'eco generata dall'incidente è stata ampia, e ha portato i suoi frutti. La questione è vedere quante delle promesse fatte verranno assecondate - e mantenute - nel tempo.

Grazie alla grande attenzione mediatica anche a livello internazionale, il primo dato positivo è stato il parlare di sicurezza sul lavoro. Il Rana Plaza era un edificio di otto piani, dichiarato inagibile e pericolante perché sorgeva su un terreno fangoso. Al suo interno lavoravano più di 3mila persone. Tutti i titolari delle ditte presenti - tranne una, una ong - hanno costretto i propri dipendenti ad andare a lavorare lo stesso. Il 24 aprile 2013 l'edificio è collassato su se stesso.

A livello di percezione personale da parte degli operai di settore, la situazione è migliorata con l'aumento del salario minimo. Un'iniziativa rivendicata da molte associazioni, che in molti casi si è però tradotta in una riduzione del personale, provocando meno disponibilità di posti di lavoro. Una certa attenzione è riservata ai criteri di assunzione del personale: le aziende non assumono più lavoratori di età inferiore a livello consentito.

Il tasto più dolente riguarda i risarcimenti. Il governo si è fatto dare molti aiuti economici a livello locale e internazionale, ma non è chiaro che fine abbia fatto la maggior parte di questi. Risarcimenti in denaro liquido sono stati assegnati alle famiglie degli uccisi (tra i 1.000 e i 5.000 euro a nucleo) ma chi non ha potuto ritrovare il proprio caro - oltre 100 famiglie - non ha ricevuto nulla. In tal senso risulta importante un'iniziativa avviata dalla Caritas Bangladesh, impegnata nel rintracciare prove della morte di chi manca all'appello, per aiutare i familiari.

Per quanto riguarda la riabilitazione e l'impegno di curare mutilati o chi ha riportato lesioni permanenti, sono molto importanti le iniziative di alcuni privati. È il caso per esempio di Crp-Bangladesh, centro per paralitici fondato nel 1979 a Savar dall'inglese Valerie Taylor. Ci sono state iniziative private buone, per esempio l'impegno di curare mutilati o persone che hanno avuto lesioni. Anche in questo caso però è il governo a mancare: la promessa di riassumere i sopravvissuti non è stata mantenuta, così come quella di dare una stabilità alle famiglie dei defunti, in modo particolare finanziando gli studi dei figli.

Sul piano della giustizia, non si è ancora conclusa l'inchiesta straordinaria contro Rana, proprietario dell'edificio ritenuto il principale colpevole. Tutti cercano di gettare la colpa su di lui, ma sembra che alcuni permessi li abbia comprati. Eppure, nessuno indaga su chi glieli avrebbe venduti. 

 

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