Rakhine, violenze etniche: tre condanne a morte per lo stupro-omicidio della donna
Yangon (AsiaNews/Agenzie) - La Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine, nel Myanmar occidentale, ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione di Thida Htwe; il decesso della giovane buddista Arakanese, a fine maggio, ha originato i violenti scontri interconfessionali islamo-buddisti nella regione, che hanno causato almeno 50 morti, migliaia di case incendiate e la fuga di centinaia di profughi della minoranza musulmana Rohingya verso le coste del Bangladesh. Tuttavia, il governo di Dhaka ha adottato una rigida politica di respingimenti verso i rifugiati (nella foto): anche ieri, infatti, circa 130 birmani Rohingya sono stati intercettati, posti sotto fermo giudiziario per interrogatorio e, in un secondo momento, allontanati in direzione Birmania. Il numero complessivo di respingimenti o arresti, dall'inizio delle violenze nello Stato, supera quota duemila.
Il sito dissidente Democratic Voice of Burma (Dvb) riferisce che ieri il giudice distrettuale ha ritenuto colpevoli di stupro, omicidio e furto Htet Htet (meglio noto come Rawshe), Mahmud Rawphi (soprannominato Hla Win) e Khochi (il nome completo è Myint Swe). Il 28 maggio scorso i tre hanno aggredito la giovane buddista Rakhine Thida Htwe, del villaggio di Thabyaychaung, nella cittadina di Ramee, mentre stava rientrando a casa. La Corte si è basata sulle testimonianze di otto persone, fra cui il fratello della vittima.
Htet Htet, sospettato di aver architettato l'aggressione sfociata nello stupor-omicidio, si è suicidato la scorsa settimana, mentre si trovava in carcere. La giuria ha voluto condannarlo lo stesso, con sentenza postuma, in accordo al Codice penale birmano. Buona parte dell'opinione pubblica si dice soddisfatta della celerità del procedimento e del fatto che i colpevoli siano stati condannati. Tuttavia, membri della società civile ed esponenti di organizzazioni pro diritti umani diffidano della sentenza e auspicano un'inchiesta più approfondita per evitare casi di giustizia sommaria. I due uomini hanno ora una settimana di tempo per appellare la sentenza; la vicenda dovrà comunque essere esaminata dalla Corte suprema per il verdetto finale. Per gli esperti di diritto è "molto difficile" che venga davvero applicata la pena capitale, dato che in Myanmar non si registrano più esecuzioni di condanne a morte dal 1988.
Nei giorni seguenti lo stupro e l'omicidio della donna, una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10 che viaggiavano su un autobus ed erano del tutto estranei al fatto di sangue. La spirale di odio, sfociata in una vera e propria guerriglia, è quindi continuata nei giorni successivi e ha causato la morte di altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti, altri 38 i feriti. Secondo le fonti ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni. Della tensione fra buddisti dell'Arakan e musulmani Rohingya ha parlato anche Aung San Suu Kyi, in Europa per un tour ufficiale: la leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) ha rivendicato la "supremazia della legge", alla quale tutti i cittadini si devono uniformare. E aggiunge che è necessaria una sorveglianza "responsabile" lungo il confine fra Birmania e Bangladesh.
Il Myanmar, composto da oltre 135 etnie, ha avuto sempre difficoltà a farle convivere e in passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi. I musulmani in Myanmar costituiscono circa il 4% su una popolazione di 60 milioni di persone. Secondo l'Onu, nel Paese vi sono 750mila Rohingya, concentrati in maggioranza nello Stato di Rakhine. Un altro milione o più sono dispersi in altre nazioni: Bangladesh, Thailandia, Malaysia. Lo stato di emergenza è il primo intervento eccezionale ad opera di Thein Sein, presidente da oltre un anno, che sta traghettando il Paese dalla dittatura militare a una democrazia almeno minima.