01/02/2025, 15.15
MYANMAR
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Quattro anni nel buio: la guerra ancora senza sbocchi in Myanmar

di Alessandra De Poli

Il regime birmano ha esteso nuovamente lo stato di emergenza, ma il suo controllo sul Paese si assottiglia: le milizie etniche e forze della resistenza hanno riconquistato oltre 95 città, mentre l’Onu denuncia crimini di guerra e il rischio di una crisi imminente. Pur mantenendo un dialogo anche con le milizie etniche, la Cina rimane il principale sostenitore dei generali.

Yangon (AsiaNews) – L’esercito birmano ha esteso ieri lo stato di emergenza per altri sei mesi, prolungando una guerra civile iniziata con il colpo di Stato militare di quattro anni fa. Le milizie etniche e le altre forze della resistenza, le People Defence Forces (PDF), hanno riconquistato ampie aree del Paese, soprattutto lungo i confini, mentre l’esercito mantiene il controllo solo sul 21% del territorio, in particolare sulle zone più densamente popolate e su alcune città chiave.

Secondo il Myanmar Peace Monitor, in tutto il Paese 95 città sono tornate sotto il controllo della resistenza, che in alcuni casi ha già istituito nuove amministrazioni locali, ridisegnate lungo le linee etniche dei gruppi in lotta contro la giunta militare.

I generali ieri hanno ribadito anche l’intenzione di tenere elezioni entro la fine dell’anno, sottolineando però che non esistono ancora le condizioni per un voto libero e democratico. Secondo gli analisti, però, le elezioni indette dalla giunta non saranno mai realmente libere, ma  rappresentano piuttosto un tentativo dell’esercito di consolidare il proprio potere in un momento di estrema debolezza. Se il voto dovesse effettivamente svolgersi, sarebbe probabilmente il risultato di un'ulteriore escalation di violenza.

La decisione di indire elezioni, anche solo di facciata, è stata finora appoggiata dalla Cina, che, pur mantenendo un dialogo anche con le milizie etniche, rimane il principale sostenitore del regime birmano. I tentativi di cessate il fuoco mediati da Pechino finora non hanno retto alla prova del tempo, perché il sostegno cinese alla giunta è dettato unicamente da interessi strategici e commerciali. Il Myanmar ospita infrastrutture cruciali per la Belt and Road Initiative. Nelle ultime settimane, Pechino è intervenuta con maggiore decisione, ma soprattutto per proteggere i propri cittadini vittime dei centri per le truffe online che sono proliferate lungo il confine con la Thailandia.

Negli ultimi quattro anni, il regime militare si è macchiato di gravi crimini contro la popolazione civile, ha denunciato il Meccanismo investigativo indipendente delle Nazioni Unite per il Myanmar (IIMM), sottolineando come l’impunità diffusa continui ad alimentare le violenze. “Attacchi aerei, bombardamenti di artiglieria e droni sempre più frequenti e indiscriminati hanno ucciso civili, costretto migliaia di persone ad abbandonare le loro case e distrutto ospedali, scuole e luoghi di culto”, ha dichiarato l’organismo internazionale, aggiungendo che anche le milizie etniche sono responsabili di gravi abusi, tra cui stupri, omicidi e torture.

Le Nazioni unite, in un recente rapporto sulla situazione del Myanmar a quattro anni dal golpe, descrivono il paese come vittima di una “policrisi”, una crisi multidimensionale senza precedenti. Il 2025 si prospetta un anno ancora più difficile: quasi metà della popolazione vive ormai al di sotto della soglia di povertà e 3,5 milioni di persone sono sfollate senza accesso a servizi essenziali.

Dal 2020, il prodotto interno lordo si è contratto del 9%, la valuta ha subito un crollo tale da rendere insostenibili le importazioni, mentre l’inflazione ha superato il 25%, cancellando i progressi economici ottenuti nel decennio precedente al colpo di Stato. In alcune regioni, il prezzo del riso è aumentato del 47%.

Particolarmente critica è la situazione nello Stato del Rakhine, ultimamente teatro di duri scontri tra l’esercito e le forze della resistenza, che hanno quasi riconquistato l’intero territorio. Secondo le previsioni, nel 2024 la produzione locale di cibo riuscirà a coprire appena il 20% del fabbisogno della popolazione, esponendo l’area al rischio di una grave carestia.

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