Quando la dissidente è donna: in Cina cresce la repressione delle attiviste da parte di Xi Jinping
Un recente rapporto pubblicato da Chinese Human Rights Defenders evidenzia l'aumento della violenza di genere perpetrata dal governo cinese. La perquisizione senza mandato è diventata una pratica di routine, così come l'ostruzione dei processi giudiziari. Le storie di diverse sostenitrici dei diritti umani ingiustamente incarcerate.
Pechino (AsiaNews) - Negli ultimi 10 anni, in concomitanza con l’ascesa al potere del presidente cinese Xi Jinping, sono aumentati i rischi e le pressioni nei confronti delle attiviste per i diritti umani, sebbene fin dagli albori il Partito comunista cinese predicasse la parità di genere. Ad affermarlo è un rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall’organizzazione “Chinese Human Rights Defenders” (CHRD), che ha analizzato una serie di casi di violenza perpetrati dal governo cinese contro le femministe e le donne dissidenti.
La forma più comune di violenza di genere, sottolinea il documento, è la perquisizione senza mandato da parte di agenti statali nelle stazioni di polizia e nelle strutture di detenzione. Attraverso le interviste condotte da CHRD è emerso che si tratta di una pratica di routine per umiliare e tentare di soggiogare le attiviste in custodia statale. Le intervistate hanno inoltre raccontato casi di abusi verbali e torture, sottolineando che l’accesso alla giustizia per ritenere responsabili gli autori di violenza è stato quasi sempre ostacolato.
He Fangmei, per esempio, sostenitrice dei diritti alla salute della provincia di Henan, ha concentrato la sua attività contro i vaccini cinesi dopo che sua figlia di 7 anni è rimasta disabile a causa di un lotto di sieri difettoso. Dopo essere stata prelevata con la forza senza che nessuno ne avesse notizia, la sua detenzione è stata giudicata arbitraria da un gruppo di lavoro delle Nazioni unite. Momentaneamente rilasciata, è stata di nuovo presa in custodia a marzo dello scorso anno con accuse di “bigamia” e di “provocare problemi”. Le è stato impedito di comunicare con il marito (che sta scontando una pena di cinque anni) e i tre figli, di cui le due femmine sono state confinate in un istituto psichiatrico e il maschio dato in affidamento. Al momento He si trova nel centro di detenzione di Xinxiang in attesa di una sentenza.
Huang Xueqin, invece, ha svolto un ruolo chiave nel lancio del movimento #MeToo in Cina all'inizio del 2018. È stata arrestata a settembre 2021 con accuse di “incitamento alla sovversione” ed è attualmente detenuta in isolamento a Guangzhou, dove è stata sottoposta anche a torture come la privazione di sonno. Anche l’attivista femminista Li Qiaochu è stata accusata di “incitamento alla sovversione” e durante la sua detenzione non ha ricevuto cure mediche appropriate, contrinuando a soffrire gli effetti collaterali di un trattamento farmacologico inadatto. Secondo le Nazioni unite è stata incarcerata dalle autorità cinesi per aver comunicato con due funzionari che stavano indagando sul tema delle sparizioni forzate, e aveva condiviso i dettagli delle torture inflitte al suo partner, Xu Zhiyong, e ad un suo collega, l’avvocato Ding Jiaxi. Li ha inoltre potuto incontrare di persona il suo rappresentante legale solo quest’anno, due anni dopo l’inizio della detenzione, ma poche settimane fa il processo è stato sospeso perché gli avvocati dell’attivista hanno contestato l'ostruzione della corte nei confronti della loro capacità di difendere la cliente.
Non sono state risparmiate nemmeno le donne appartenenti alle minoranze: Kamile Wayit, studentessa uigura di 19 anni, è stata condannata a marzo di quest’anno per “sostegno all’estremismo”. Il suo crimine? Aver condiviso sul social cinese WeChat un video di protesta, mentre Chen Jianfang, attivista di Shanghai, sta scontando una condanna a quattro anni e mezzo per “sovversione”, per aver tentato di coinvolgere la società civile cinese a rispettare i meccanismi di difesa dei diritti umani delle Nazioni unite e aver protestato contro il regime autoritario del Partito comunista cinese dichiarandosi a favore della democrazia costituzionale. Vittima di sparizione forzata nel 2019, il suo processo è iniziato a marzo 2021.
Il rapporto cita infine il caso di Zhang Zhan, avvocata e giornalista. A febbraio 2020 si era recata a Wuhan per documentare l’incarcerazione di giornalisti indipendenti che stavano cercando di capire se ci fosse o meno una responsabilità cinese nella diffusione del virus del Covid-19. È stata processata e condannata a quattro anni di carcere per “aver provocato problemi” e i lunghi scioperi della fame a cui si è sottoposta e a cui le autorità carcerarie hanno risposto nutrendola forzatamente hanno drammaticamente peggiorato le sue condizioni di salute.
09/03/2021 11:11