Pyongyang, guerra di potere fra Kim Jong-il e l’esercito per la successione
Esperto sud-coreano ad AsiaNews: la successione del terzogenito Kim Jong-un non è sicura, perché “troppo giovane per governare”. Il “Caro leader” ha modificato la Costituzione per rafforzare il potere, ma gli esiti del processo sono “imprevedibili”. La diplomazia internazionale deve “mantenere aperto il dialogo” con Pyongyang.
Seoul (AsiaNews) – In Corea del Nord è in atto una guerra per il potere, che vede contrapposte la leadership dell’esercito e la famiglia di Kim Jong-il, i cui esiti sono “imprevedibili”. È quanto afferma ad AsiaNews Thomas Hong-Soon Han, professore emerito di studi internazionali alla Hankuk University di Seoul, secondo cui “è indispensabile” mantenere aperto il “tavolo dei negoziati con Pyongyang” con colloqui bilaterali o incontri a Sei, per garantire l’equilibrio nella regione.
Il professor Han, membro del Pontificio consiglio per i laici, conferma la situazione di tensione all’interno della leadership nord-coreana, che vede contrapposti “Kim Jong-il e i vertici militari” e “non è semplice prevedere” quali saranno gli sviluppi. Nei mesi scorsi è riemersa con forza la candidatura di Kim Jong-un, 26enne terzogenito del “Caro leader”, alla successione, ma “appare troppo giovane per governare”.
Per questo nei giorni scorsi Kim Jong-il ha varato la nuova Costituzione del Paese, che segna la fine del comunismo, sostituito dal “socialismo”; il rafforzamento della “politica militare”, linea guida del Paese; la concentrazione dei poteri nelle mani del presidente della Commissione nazionale di difesa, presieduta dallo stesso Kim Jong-il; i soldati, infine, si aggiungono a operai, contadini e intellettuali a costituire i “quattro pilastri” su cui si basa la nazione.
“Kim Il-sung – spiega – ha preparato il passaggio di consegne per molti anni. Oggi sembra mancare il tempo [per l’incertezza sullo stato di salute del “Caro leader”], e anche se l’erede designato ha alle spalle una figura carismatica come Jang Song-thaek, cognato di Kim Jong-il, e numero due del partito, non basta per garantire stabilità al processo di transizione”. Nessuno, peraltro, nemmeno al Sud desidera un tracollo del regime, perché “sarebbe un disastro” per gli equilibri della penisola.
In merito alla politica promossa dal presidente sud-coreano Lee Myung-bak verso il Nord, il professor Han chiarisce che è il riflesso “dell’opinione pubblica: il popolo esige fermezza dal governo. Gli aiuti vanno bene, ma a condizione che vadano ai nord-coreani, non alla leadership” e non devono “alimentare il programma nucleare”. Egli aggiunge che le tensioni degli ultimi mesi e le esercitazioni militari sono il tentativo di Pyongyang di “mostrarsi forte, far vedere i muscoli, quando invece si trova in una posizione di debolezza” e ha solo la bomba atomica come mezzo di ricatto nel panorama internazionale.
Vi è infine la questione dei negoziati a Sei sul nucleare (protagonisti Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone, Cina Stati Uniti e Russia) e i tentativi di dialogo a due con Washington, chiesti da Pyongyang. Una ipotesi che ha fatto subito scattare il campanello d’allarme a Pechino, favorendo un rilancio dei rapporti fra la Corea del Nord e il suo alleato storico, la Cina. “Il punto – conclude Thomas Han – è mantenere aperto il dialogo. Se l’obiettivo è la denuclearizzazione della penisola coreana, qualsiasi canale utile per raggiungerlo va bene. E in un’ottica di lungo periodo, bisogna capire chi sarà l’interlocutore dopo il passaggio di consegne al potere”.(DS)
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