Putin e Trump, lo zar di Russia e l'imperatore d'America
Tra il Maga trumpiano dell’America first e il sogno putiniano del Russkij Mir c’è molta sintonia nella visione post-globalista del mondo, che nei prossimi decenni verrà dominato dal neo-sovranismo autarchico e minaccioso, imperiale e coloniale, in cui la parte più sacrificabile non è tanto l’Ucraina, ma l’intera Europa.
Com’era facilmente prevedibile, l’inaugurazione della presidenza americana di Donald Trump ha suscitato in Russia un’ondata d’entusiasmo, al di là delle minacce di “nuove sanzioni” a Mosca se non smetterà di fare la guerra in Ucraina, che dal Cremlino sono state declassate subito a “ordinaria amministrazione”, ricordando che a Trump “piacciono questi metodi” fin dal suo primo mandato. I toni decisamente in stile putiniano del primo discorso ufficiale del vecchio neo-presidente erano attesi per declamare al mondo intero i principi del sovranismo contro la globalizzazione, della difesa della propria identità contro le invasioni straniere, della missione universale del popolo americano per la salvezza del mondo, gli stessi e identici contenuti dell’ideologia del “mondo russo” nella sua versione speculare del “mondo americano”.
Un apprezzamento particolare hanno meritato per i russi le parole di Donald il Terribile sull’esistenza di “soltanto due sessi, il maschile e il femminile”, uno dei punti qualificanti della “difesa dei valori tradizionali” che ha motivato la stessa invasione dell’Ucraina: “altrimenti ci costringeranno ad andare alle parate gay”, disse il patriarca di Mosca Kirill una settimana dopo l’ingresso delle truppe russe alla conquista di Kiev. Un suo fido collaboratore, il capo del dipartimento sinodale del patriarcato Vakhtang Kipšidze, ha parlato di “arrivo degli Usa nello spazio dei valori tradizionali, almeno a parole, diventando un grande ambito di concorrenza” in cui la Russia si impegna ad agire con convinzione, ritenendo che sia “il più grande colpo contro i globalisti negli ultimi trent’anni”.
Un’altra affermazione di Trump ha invece indispettito i russi, quando il presidente americano ha parlato del “ruolo ausiliario” dell’Urss nella seconda guerra mondiale, vantandosi della vittoria ottenuta dall’esercito americano e britannico. Per i russi la Vittoria è da ascriversi soltanto alle truppe staliniane, e semmai furono gli occidentali a fornire un aiuto secondario con gli sbarchi in Normandia e Sicilia. In ogni caso Putin ha invitato Trump a recarsi a Mosca il 9 maggio ai festeggiamenti degli ottant’anni dalla grande Vittoria, dove lo zar intende celebrare anche il successo dell’operazione speciale in Ucraina grazie alle trattative di pace, che verranno effettuate con gli americani “in pari dignità e rispetto”, cioè sacrificando l’Ucraina sull’altare del Cremlino.
Il portavoce Dmitrij Peskov ha ricordato che tra America ed Europa “si distende l’oceano, e così era anche ai tempi della guerra”, e la grande scena bellica con “decine di milioni di vittime si svolgeva sul continente opposto all’America”. La divisione dei campi e dei ruoli è uno dei principi fondamentali del nuovo ordine mondiale sognato da Putin, quello “multipolare” che vede la Russia come unico vero cardine di tutte le relazioni (essendo l’Eurasia a confinare con la Cina e ad affacciarsi sull’America dall’estremo Oriente). E la memoria delle guerre novecentesche descrive il quadro attuale in modo molto più efficace di qualunque altra dimensione geografica o digitale, essendo di fatto una proiezione spirituale, più che una realtà politica o economica.
Il sogno di una “nuova Yalta”, con la divisione del mondo tra Oriente e Occidente, con la presidenza di Trump sta cominciando a prendere corpo, come si deduce anche dalle affermazioni dell’imperatore di Washington al Forum economico mondiale di Davos, in cui è stato proclamato che “il lavoro per una regolazione pacifica del conflitto bellico tra Russia e Ucraina è già iniziato”. Trump ha anche osservato che i prezzi del petrolio sono ancora troppo alti, permettendo alla Russia di finanziare la guerra, invitando i principali produttori come l’Arabia Saudita e i Paesi dell’Opec ad aumentare la produzione per far scendere i prezzi, in modo da far cessare i conflitti. Attualmente il petrolio rimane a 80 dollari al barile, e nonostante i tetti e le limitazioni imposte, la Russia continua ad alimentare la sua economia bellica anche tramite la “flotta ombra” e il mercato alternativo, che hanno reso finora le sanzioni piuttosto inefficaci. Durante il discorso di Trump, il prezzo è sceso già di circa un dollaro, ma ci vuole ben altro per mettere davvero in ginocchio l’economia russa.
Il presidente americano ha messo molto in evidenza le relazioni tra Washington e Riad, che prevede di investire negli Usa circa 600 miliardi di dollari, anche se nella visione di Trump “questa cifra dovrà essere arrotondata fino a 1000, perché gli americani sono stati molto comprensivi con l’Arabia Saudita”. Sono discorsi coerenti con la nuova “guerra fredda”, che sembrano minacciare Mosca, ma in realtà riconoscono ai russi un ruolo determinante nella suddivisione delle sfere mondiali d’influenza. Naturalmente, Trump ha ribadito che intende incontrare Vladimir Putin “a breve termine”, il vertice decisivo che tutti attendono da mesi, e che sembra ormai vicino alla realizzazione.
Dal Cremlino fanno sapere che intanto si prevede un’intervista di Putin al blogger 42enne Lex Fridman, uno dei più popolari al mondo sui canali YouTube. Fridman è un ebreo di etnia ucraina, nato nel Tagikistan sovietico col nome di Aleksej Fedotov, cresciuto a Mosca dove ha compiuto gli studi e figlio di un famoso fisico di Kiev, Aleksandr Fridman, in seguito trasferitosi negli Usa a Filadelfia e diventato direttore dell’Istituto del plasma all’università Drechsel. Tra i suoi ospiti si ricordano Elon Musk, lo stesso Trump, Benjamin Netanyahu, l’argentino Javier Milei (che ha esultato per il “fronte sovranista mondiale” che si sta creando intorno a Trump), Volodymyr Zelenskyj e molte altre personalità di primo piano della politica e dell’economia internazionale, a cui manca soltanto Putin per finire la rassegna, e fornire le necessarie risposte agli inviti e alle provocazioni di Trump.
Nel frattempo i russi si attrezzano per sfruttare i prossimi appuntamenti elettorali, anzitutto il voto in Bielorussia che confermerà l’eterna presidenza di Aleksandr Lukašenko, la cui missione iniziata nel 1994 dovrà concludersi per il Cremlino con la definitiva proclamazione dello Stato Unitario di Mosca e Minsk, a cui prima o poi s’intende annettere anche Kiev. Molto ghiotta è l’occasione di interferenza con il voto in Germania del prossimo 23 febbraio, dove la dezinformatsija russa si sta attivando al massimo livello, con una raffica di post su X per accusare i Verdi dei problemi economici tedeschi, criticando il cancelliere uscente Olaf Scholz per il suo sostegno all’Ucraina. La campagna di guerra ibrida russa Doppelgänger, già denunciata dalle autorità tedesche, statunitensi e francesi, si sta orientando sempre più a sostegno del partito di estrema destra Alternative für Deutschland e contro i partiti tradizionali tedeschi, per ottenere un altro pilastro del sovranismo putiniano anche nel cuore dell’Europa. Un ruolo cruciale è affidato all’ex-vicesceriffo americano John Mark Dougan, fuggito dagli Stati Uniti e divenuto propagandista del Cremlino, che coordina una rete di 102 siti in lingua tedesca che amplificano le narrazioni filorusse a un mese dalle elezioni.
Trump ha già anche fissato la data della fine del conflitto in Ucraina, il 30 aprile 2025, cento giorni dopo il suo insediamento, al posto delle promesse “ventiquattrore”. Ci saranno da dividere le rimesse russe congelate, che in parte andranno per la ricostruzione dell’Ucraina e in parte torneranno a disposizione dei patrimoni bancari russi bloccati in Occidente. Nel solito ritornello tardo-medievale della “guerra dei dazi”, poi, si evidenzieranno i termini dei nuovi campi della geopolitica e geo-economia, assegnando i ruoli di amici e nemici sulle trincee dei mercati internazionali. Tra il Maga trumpiano dell’America first e il sogno putiniano del Russkij Mir c’è molta sintonia nella visione post-globalista del mondo, che nei prossimi decenni verrà dominato dal neo-sovranismo autarchico e minaccioso, imperiale e coloniale, in cui la parte più sacrificabile non è tanto l’Ucraina, ma l’intera Europa, considerando non solo i due poli degli Usa e della Russia, ma anche quelli variabili di Cina, Turchia e India.
Il nuovo segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, invita a “prolungare la guerra per far vincere l’Ucraina”, ma non sembra proprio questa l’opinione di Trump, che intende dividersi l’Ucraina con Putin per gli interessi della Casa Bianca, abbinati a quelli del Cremlino. “È iniziata l’età dell’oro”, ha proclamato Trump in collegamento a Davos, assicurando che “Kiev è pronta a fare un accordo”, e poco dopo Putin ha interrotto una riunione del governo di Mosca per una “conversazione telefonica internazionale della massima importanza”, come ha chiarito il portavoce Dmitrij Peskov, senza rivelare chi fosse l’interlocutore. Lo zar e l’imperatore si dividono il mondo, e tutti gli altri stanno a guardare.
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