Pur con le elezioni-farsa, Aung San Suu Kyi “unica leader della Birmania”
di Tint Swe
La giunta militare ha paura della Signora, e per renderla ancora meno efficace ha lanciato una campagna di diffamazione contro di lei. Ma il voto di novembre, totalmente inutile, è soltanto un’altra fase nella lotta dei democratici per la democrazia.
New Delhi (AsiaNews) – Le bugie dei militari, le defezioni nel campo democratico e la sfiducia del popolo non devono interrompere la battaglia per la democrazia in Birmania. Il Paese, che si prepara alle sue prime elezioni in 20 anni, si deve presentare compatto all’appuntamento, che i generali hanno proibito alla comunità internazionale.
AsiaNews ha chiesto un commento sulla situazione a Tint Swe, membro del Consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB), costituito da rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990. Fuggito in India, dal 21 dicembre del 1991 vive a New Delhi.
Come accade dappertutto, anche in Birmania ci sono pro e contro quando qualcuno decide di fare qualcosa. In questo caso sono stati i militari a fare la prima mossa, e l’opposizione ha reagito di conseguenza. Quando avviene il contrario, è la giunta militare a reagire alle mosse dell’opposizione. Un esempio è la protesta popolare del 1988, quando il generale Ne Win – che era al potere da 26 – venne costretto alle dimissioni. Ma i due leader che si sono susseguiti a Ne hanno scelto invece di uccidere e mettere a tacere la protesta.
Nel 1990 la popolazione scelse di votare per la Lega nazionale per la Democrazia; in nome dello stato di diritto e protetti dal Consiglio per la ristorazione dell’ordine, la giunta militare reagì immediatamente imponendo un nuovo governo e un nuovo Parlamento. Lo storico annunco 1/90 del 27 luglio 1990 imponeva ai deputati eletti di non fare altro se non buttare giù una nuova Costituzione. Ma quando si convocò la costituente, il 9 gennaio 1993, gli eletti erano soltanto il 15% del totale. La sessione successiva erano meno del 2%.
Eppure, “una donna morta non morde”. Aung San Suu Kyi, nei suoi comizi in tutta la nazione, radunava una folla sempre più numerosa: per questo, il 30 maggio 2003, il Consiglio per la pace e lo sviluppo dello Stato cercò di ucciderla. Fortunatamente la Signora sopravvisse, e il mondo intero si levò in sua difesa. La giunta dovette abbassare i toni, annunciando la roadmap verso la democrazia. Le elezioni che stanno per arrivare erano il punto principale del piano.
La lunga battaglia contro la dittatura è divenuta eccezionalmente lunga. Nel frattempo, entrambi i lati hanno perso dei sostenitori. Degli allora eletti deputati della Lega per la democrazia, più di cento sono morti: 3 sono stati uccisi in carcere e altri 2 assassinati fuori dal Paese. Nel frattempo, un gran numero di intellettuali che chiedeva democrazia per la Birmania ha iniziato a collaborare con il regime. Persino uno degli assistenti di Aung San Suu Kyi le è divenuto ostile. Prima delle elezioni, un piccolo numero di docenti ha iniziato a girare per il Paese cercando consenso per la giunta.
Ma le elezioni hanno provocato anche “vittime bianche” nel partito. Dopo che la leadership della Lega ha deciso all’unanimità, lo scorso 29 marzo, di non partecipare alle elezioni, alcuni dei suoi membri hanno deciso di lasciare il partito e fondare il Forum nazionale per la democrazia. Questo presenterà 164 candidati alle prossime elezioni, che si terranno dal 7 all’11 novembre. Le prove, e non soltanto i pettegolezzi, dimostrano che il Forum ha ricevuto fondi dal partito della Giunta, l’Undp, che tra l’altro contesterà quasi tutti i deputati eletti.
Ma il regime non è immune ai problemi. Guardate ai generali Ne Win, Saw Maung e Tin Oo, morti all’improvviso e in disgrazia. O ai “morti viventi” che compongono le fila degli ufficiali, come il Aung Gyi o Khin Nyunt. Al momento, invece, l’opposizione può contare su una leadership sopravvissuta. Anche se al partito è stata tolta la legittimità legale, tutti i membri della Lega sono stati delegittimati e nella Costituzione è stato scritto che una donna non può essere capo di Stato, Aung San Suu Kyi è ancora considerata una persona che, se libera, può abbattere il regime.
La giunta ha avuto paura di tenere le elezioni con lei libera. E soltanto quando la Signora ha chiesto di boicottare il voto i militari hanno cambiato idea, e la Commissione elettorale ha detto che poteva votare. Il messaggio al suo popolo è stato che le persone hanno il diritto di votare e quello di non votare.
La macchina della propaganda, se usata in maniera efficace, può ribaltare gli eventi. Ma anche quella dei pettegolezzi può arrivare a fornire informazioni false. Oggi, di nuovo, l’intelligence militare ha stampato migliaia di volantini che diffamano Aung San Suu Kyi. Nei giornali statali sono apparsi numerosi articoli diffamatori firmati con degli pseudonimi. A quasi tutti i subordinati dell’esercito è stata fornita un’immagine distorta della Signora: un disertore, arrivato in India, ha dichiarato che è lei quella che crea problemi nel Paese.
In Birmania, l’opinione popolare non può essere guidata nella maniera corretta. Molti di loro sono terrorizzati, altri sono presi in giro, qualcuno è stato comprato e il resto non ha commenti da fare. Se ripensiamo al ballottaggio sulla Costituzione, i cittadini hanno capito che – qualunque voto avessero espresso – avrebbero vinto i militari. Non hanno visto alcuna alternativa valida.
Ora, dato che si avvicina il giorno del rilascio di Aung San Suu Kyi, la giunta è stata costretta ad aumentare la campagna contro di lei. È un segnale di quanto abbiano paura della sua libertà: temono di non riuscire a formare un nuovo governo senza problemi. E quindi il tema della sua popolarità è divenuto il principale all’interno del Paese: oramai anche i leader mondiali, incluso il Segretario generale dell’Onu, esprimono la loro preoccupazione.
Certo, se parliamo di numeri la Lega sta perdendo pezzi. E sì, la Lega non ha modo di partecipare alle elezioni. Ma i democratici ritengono che non sia soltanto il voto a essere importante: credono che se la popolazione fosse libera di esprimersi liberamente, andrebbe senza dubbio contro la dittatura. Da quando la giunta ha proclamato la legge elettorale e ha annunciato le date del voto, è fallito il piano di trasformare i gruppi etnici armati in guardie di confine.
Allo stesso tempo, i leader di quei gruppi hanno dichiarato che Aung San Suu Kyi è la leader della nazione: questa è l’unità nazionale che il Paese, sin dalla sua indipendenza, cerca di ottenere. Quindi, dal punto di vista dei risultati pratici, è lei ad avere i punti migliori. Se la Signora è considerata irrilevante e la sua richiesta di boicottare le elezioni inutile, allora la giunta dovrebbe permettere alla comunità internazionale di assistere sul voto e vigilare.
Ma, nella seconda settimana di novembre, il mondo potrà soltanto ascoltare – senza avere prove a sostegno – il messaggio pre-registrato che annuncia i vincitori “tutto come previsto”. Subito dopo, Aung San Suu Kyi e il popolo birmano dovranno iniziare la prossima fase della loro battaglia.
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