Punjab: incriminazione di massa per blasfemia, 68 avvocati alla sbarra
Islamabad (AsiaNews) - "Questo è forse il più strano di tutti i casi" di blasfemia sinora emersi in Pakistan, che ha trasformato una "semplice protesta" in una incriminazione di massa in base alla legge nera; ora "le persone non hanno più nemmeno il diritto di protestare?". È il commento amaro, affidato ad AsiaNews, di p. Anwar John, sacerdote dei missionari Oblati di Maria Immacolata a Lahore, secondo cui gli inquisiti "non hanno mancato di rispetto né al profeta Maometto, né alla religione musulmana". Il riferimento è a quanto è avvenuto nei giorni scorsi nel distretto di Jhang, nel Punjab, dove la polizia ha aperto un fascicolo di inchiesta contro 68 avvocati, in quello che è emerso come il caso più importante di sempre per reati legati alla blasfemia in Pakistan. I legali, in maggioranza sciiti, erano scesi in piazza per protestare contro le forze dell'ordine, che avrebbero arrestato senza motivo un collega; durante la manifestazione, gli avvocati sono accusati di aver insultato il nome di un parente stretto di Maometto. In realtà, la vicenda mostra l'aspra controversia che vede opposte forze dell'ordine e avvocati nella regione.
La polizia spiega di aver agito dietro denuncia di un cittadino, aprendo un fascicolo di inchiesta contro otto avvocati e altri 60 colleghi di cui non sono note le generalità. I legali erano scesi in piazza per chiedere il fermo di cinque poliziotti, che la scorsa settimana avrebbero detenuto senza motivo e malmenato un avvocato di Jhang. Un uomo avrebbe detto di sentirsi offeso per le parole di scherno rivolte dagli avvocati a un funzionario di polizia, il cui nome richiama quello del secondo califfo (Omar) e per questo ha sporto denuncia per blasfemia.
In alcuni casi la blasfemia viene punita con la pena di morte ma, in questo caso, la pena massima prevista è di tre anni. Fonti locali riferiscono che si sta cercando di appianare lo scontro senza ricorrere agli arresti; tuttavia, la vicenda mostra gli abusi che vengono compiuti in base alla legge nera. E più della galera, ora gli avvocati devono temere le ritorsioni di qualche elemento estremista che potrebbe colpire (e uccidere) al di fuori della legalità.
Per p. Anwar John è un chiaro esempio di "vendetta, queste persone sono incriminate con false accuse di blasfema perché sciiti", una "presa in giro del sistema". Hafiz Muhammad, portavoce del Consiglio degli Ulema, sottolinea che "l'islam è una religione tolleranza, e questi casi sono una interpretazione errata di una legge" che non va "cancellata". Non è possibile, aggiunge, che le leggi sulla blasfemia siano "abusate" e che fatti di questo tipo alimentino il clima di insicurezza e paura che circonda "le minoranze religiose in Pakistan".
La Chiesa cattolica e le denominazioni protestanti chiedono da anni l'abrogazione della "legge nera". Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per soddisfare le rivendicazioni della frangia islamista, essa puniva con il carcere a vita o la condanna a morte chi profana il Corano o dissacra il nome del Profeta Maometto. Nel 2009 AsiaNews ha promosso una campagna internazionale di sensibilizzazione; tuttavia, nessun partito politico o governo ha voluto mettere mano alla norma e quanti hanno proposto emendamenti - il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro cattolico delle Minoranze Shahbaz Bhatti - sono stati assassinati. Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all'agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni; fra le tante, ricordiamo la vicenda di Rimsha Masih, sfuggita alle (false) accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad.