Prime auto-immolazioni a Lhasa, muore giovane tibetano
Lhasa (AsiaNews/Agenzie) - Due uomini si sono dati fuoco ieri a Lhasa, capitale della Regione autonoma del Tibet, nei pressi del tempio di Jokhang, uno dei principali luoghi di culto del buddismo locale, dove si stava svolgendo un festival buddista. In un primo momento Radio Free Asia (Rfa) aveva parlato di due "monaci tibetani", ma la notizia non è al momento confermata. L'agenzia ufficiale cinese Xinhua conferma "l'incidente" e aggiunge che una persona è morta, mentre il secondo sarebbe sopravvissuto ed è in grado di parlare.
Da due anni monaci, religiose e cittadini tibetani in diverse parti della regione e in alcune province cinesi - in particolare il Sichuan - si sono auto-immolati per protesta contro la repressione del governo cinese. Tuttavia, il rogo di ieri è il secondo all'interno della regione tibetana e il primo ad aver luogo nella capitale Lhasa, teatro nel 2008 della rivolta dei monaci repressa nel sangue da Pechino e da allora presidiata dall'esercito e da reparti speciali della sicurezza.
Rfa riferisce che i due manifestanti appartenevano a un gruppo di giovani tibetani, che si erano riuniti attorno al tempio per protestare contro l'imperialismo cinese. Tobgye Tseten, originario della provincia cinese del Gansu, sarebbe morto per le gravi ustioni riportate; l'altro uomo, conosciuto col solo nome di Dargye, della provincia del Sichuan, sarebbe invece sopravvissuto ed è in grado di parlare anche se "ha riportato numerose ferite".
Un testimone oculare, che ha assistito all'auto-immolazione di ieri, riferisce che "le forze di sicurezza" cinesi sono subito intervenute sul luogo e "hanno spento le fiamme, poi hanno formato un cordone di sicurezza allontanando i turisti". Nel giro di 15 minuti "l'area era completamente ripulita e non vi erano più tracce dell'incidente". Un altro uomo, dietro anonimato, aggiunge che alcuni curiosi che "cercavano di raggiungere il luogo" del rogo "sono stati portati via" mentre gli agenti hanno al contempo "sequestrato i telefoni cellulari di tutti quelli che si trovavano nella zona". Al momento la città di Lhasa "è presidiata da poliziotti e para-militari" e si respira "un'aria di fortissima tensione".
Dal marzo 2009 almeno 35 tibetani, fra cui moltissimi giovani e anche donne, si sono auto-immolati per protesta contro la rigida censura e lo stretto controllo imposto da Pechino, che sorveglia anche la pratica del culto e dispone l'apertura e la chiusura dei monasteri. Il Dalai Lama ha sempre sottolineato di "non incoraggiare" queste forme estreme di ribellione, ma ha elogiato "l'audacia" di quanti compiono l'estremo gesto, frutto del "genocidio culturale" che è in atto in Tibet ad opera della Cina. Pechino risponde attaccando il leader spirituale tibetano, colpevole di sostenere gesti estremi di "terroristi, criminali o malati mentali".