13/06/2023, 11.10
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Presidenziali libanesi: nello stallo Azour-Frangié rispunta Aoun, pesa il veto di Hezbollah

di Fady Noun

Il Parlamento di Beirut si riunisce domani, 14 giugno, per eleggere un nuovo capo dello Stato, dopo otto mesi di vacanza. Fra i due principali rivali si profila una situazione di equilibrio che, di fatto, ne congela le possibilità di vittoria. L’ex ministro francese degli Esteri atteso a Beirut la settimana prossima per rilanciare la candidatura del generale. 

Beirut (AsiaNews) - Domani 14 giugno è in calendario una sessione parlamentare per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica libanese, carica vacante da ormai otto mesi. Salvo grosse sorprese, la riunione non si concluderà con una fumata bianca e la scelta del nuovo capo dello stato. Al massimo, vi sarà la conferma di uno scontro a due fra i candidati rivali con il maggior grado di consenso. Si tratta di Jihad Azour, direttore uscente Medio oriente e Nord Africa del Fondo monetario internazionale (Fmi) ed ex ministro delle Finanze libanesi (2005-8), espressione del compromesso sostenuti da partiti cristiani e dal blocco druso di Walid Joumblatt. Sull’altro fronte Sleiman Frangié, sostenuto dal tandem sciita (Hezbollah-Amal), dal proprio partito (4 deputati) e dai deputati pro-siriani. Il primo dovrebbe ottenere fra i 50 e i 55 voti, mentre il secondo è dato fra i 43 e i 45 voti. Un punteggio di gran lunga lontano dagli 85 voti necessari per essere eletti al primo turno di scrutinio (i due quattro dei 128 voti della Camera).

L’opinione comune è che non vi sarà un secondo turno: con tutta probabilità il presidente della Camera sospenderà la seduta con un qualsiasi pretesto o i deputati che votano Frangié si ritireranno, causando una mancanza del quorum necessario all’elezione che, per Costituzione, deve essere dei due terzi (85 seggi). Secondo fonti interne all’Assemblea, il tandem sciita non vuole correre il rischio di un eventuale rinvio del voto sulla candidatura di Azour, che gli permetterebbe di essere eletto in questo modo a maggioranza assoluta.

Una ipotesi affatto remota in questo caso, perché al secondo turno il candidato è eleggibile con 65 voti (a maggioranza assoluta, più uno). In questo senso potrebbero anche essere conclusi degli accordi segreti fra le parti da dietro le quinte. I voti aggiuntivi verrebbero da una “pancia morbida” parlamentare che comprende, in particolare, due gruppi: il primo formato da indipendenti perlopiù sunniti; il secondo da deputati della contestazione. D’altro canto vi è anche la possibilità che vengano a mancare cinque voti del Movimento patriottico libero (Cpl), con presentazione della scheda bianca e facendo mancare il sostegno necessario all’elezione di Azour. 

Tuttavia il voto di domani, anche se non darà risultati, differirà totalmente dagli undici voti analoghi che lo hanno preceduto nei mesi scorsi, dalla fine del mandato presidenziale di Michel Aoun il 31 ottobre 2022. Esso segnerà infatti un inasprimento della battaglia che oppone Hezbollah, punta di diamante del tandem sciita, alle forze che vogliono sconfiggere la sua egemonia e il cui nucleo è ora formato dai grandi partiti cristiani: il primis il Cpl, assieme alle Forze libanesi e il partito Kataëb, ovvero quasi l’080% dei 64 deputati che compongono questa comunità (cristiana). A questo si aggiunge anche il monito del patriarca maronita, il card. Beshara Raï, il quale ha più volte ricordato che Bkerké si pone “a pari distanza da tutti i candidati” e non intende schierarsi.

Questa nuova fase politica rischia di inaugurare un (nuovo e) lungo periodo di blocco e di rinnovate tensioni. Spogliato della preziosa “copertura cristiana” che gli assicurava il Cpl, Hezbollah emergerà con maggiore chiarezza come un partito intransigente e, secondo l’accusa dei suoi avversari, ancora più “totalitario”. Una posizione che emerge con maggiore chiarezza col rifiuto senza sfumature, e senza spiegazioni, della candidatura di Azour passato ai loro occhi come una figura di “confronto, sfida e sottomissione”.

Tuttavia, la scelta dell’alto funzionario del Fmi aveva tutta l’aria di un compromesso. Per questo, anche su consiglio del Vaticano e di Parigi che ha visitato di recente, il patriarca maronita ha cercato di convincere i leader di Hezbollah, inviando loro in qualità di emissario l’arcivescovo maronita di Beirut mons. Boulos Abdel Sater. Inoltre, la stessa comunità finanziaria internazionale aveva reagito favorevolmente a questa candidatura, sapendo che il Libano non sarebbe stato in grado di riprendersi da una crisi economica che è anche di sistema, senza la consulenza e la guida del Fmi.

Oltre al punteggio e ai seggi ottenuti, quella di domani sarà anche una battaglia di “legittimità nazionale”. A prescindere dal numero di seggi che porteranno a casa, sia Sleiman Frangié che Jihad Azour usciranno perdenti da questo punto di vista. Difatti, il preambolo della Costituzione afferma che “non è riconosciuta alcuna legittimità a qualsiasi potere che contraddica il patto di vita comune”. Tuttavia, Frangié gode solo di una “legittimità” del mondo cristiano assai marginale mentre Azour è totalmente privo di legittimità dell’universo sciita (27 membri eletti). Il rischio ora è che Sleiman Frangié e Jihad Azour, avendo fatto il pieno di voti, si ritrovino in una battaglia a oltranza con il medesimo punteggio che si ripropone all’infinito.

Il presidente Emmanuel Macron lo ha capito e ha deciso di alzare il livello della sua mediazione nominando un nuovo emissario per il Libano, l’ex ministro francese degli Esteri Jean-Yves Le Drian. L’ex capo della diplomazia di Parigi è atteso a Beirut la prossima settimana, in sostituzione di Patrick Durell, consigliere per l’Africa e il Medio oriente al Quai d’Orsay. E qui torna in gioco un vecchio nominativo, mai tramontato sebbene defilato nell’ultimo periodo: la fortuna finirà per sorridere al comandante dell’esercito, il generale Joseph Aoun? O a due nomi emergenti come Neemat Frem o Ziad Baroud?

La ruota sta ancora girando, ma il veto di Hezbollah rischia di inceppare ancora una volta gli ingranaggi. 

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