Presidente dei vescovi indiani in Manipur: aiuti per la ricostruzione di tutte le comunità
L'arcivescovo Andrews Thazhath ha visitato le aree che da inizio maggio sono teatro di scontri settari. La Caritas si è impegnata a donare aiuti per la ricostruzione di chiese e scuole (rase al suolo dalla violenza) e per gli sfollati, circa 60mila. Secondo i commentatori la situazione è stata favorita dalle politiche statali contro le minoranze. Sette finora gli uomini arrestati per gli stupri e le molestie contro le donne mostrate in un video circolato nei giorni scorsi.
Imphal (AsiaNews) - L'arcivescovo Andrews Thazhath, presidente della Conferenza episcopale dell'India (CBCI), ha visitato le aree del Manipur che da inizio maggio sono teatro di un violento scontro settario, principalmente tra le etnie Kuki - detta anche Zo e in prevalenza cristiana - e Meitei, perlopiù di fede indù. Sono stati confermati almeno 150 morti e oltre 60mila sfollati, mentre nei giorni scorsi è stato diffuso un video risalente al 4 maggio sulle violenze sessuali nei confronti di due donne, madre e figlia.
“È stato straziante vedere questi luoghi che sembravano deserti e destinati a non essere abitati nel prossimo futuro, data la diffidenza e la paura reciproca che continuano a prevalere. Siamo altrettanto preoccupati di quale sia la situazione reale e il futuro di coloro che sono fuggiti da questi luoghi e il futuro dei loro figli, in mezzo a tutte queste vulnerabilità. Abbiamo avuto l'opportunità di visitare alcune scuole e ostelli dove abbiamo potuto vedere chiaramente le ansie e l'angoscia dei bambini che non ci danno risposte in questo momento su come possiamo costruire meglio le comunità e le istituzioni”, ha dichiarato il prelato, che era accompagnato da Dominic Lumon, arcivescovo della diocesi di Imphal, capoluogo dello Stato nord-orientale, da p. Jervis D'Souza, vicesegretario generale della CBCI e da p. Paul Moonjely, direttore esecutivo di Caritas India.
L’ente caritativo della Conferenza episcopale ha finora investito 30 milioni di rupie di aiuti, ha sottolineato l’arcivescovo dopo aver distribuito aiuti agli sfollati e inaugurato un campo medico a Pukhou. Diverse chiese, scuole e campi sportivi delle parrocchie “che fornivano servizi educativi, sociali e di sviluppo a tutte le comunità, tra cui Kuki-zo, Naga, Meitei e altre, sono stati ridotti in cenere”, continua il comunicato di mons. Thazhath. “L'assistenza viene prestata in egual misura in tutte le aree colpite. Caritas India si impegna a continuare a fornire assistenza per la riabilitazione e la ricostruzione delle comunità. Condanniamo ogni forma di violenza, atrocità e attacchi soprattutto alle nostre istituzioni, ai luoghi di culto e alle fasce vulnerabili della società come donne e bambini. Siamo altrettanto preoccupati per il prolungato silenzio e l'apatia delle forze dell'ordine nel contenere la violenza. Il nostro appello è che il sistema di governo sostenga il tessuto secolare del nostro Paese, rafforzi i valori costituzionali e coltivi un ambiente di coesistenza pacifica tra le varie etnie”.
Il primo ministro indiano Narendra Modi, ha rotto il silenzio sulle violenze solo dopo la circolazione del video sulle violenze sessuali. Già prima che scoppiasse questo conflitto nel Manipur si erano registrati episodi di tensione: l’11 aprile a Imphal erano state demolite tre chiese e poco più di due settimane dopo un leader dell’organizzazione estremista Meitei Leepun aveva diffuso su Facebook il messaggio di “annientare il nostro tradizionale rivale sulle colline”. La violenza è infatti esplosa dopo la proposta di un tribunale di assegnare ai Meitei lo status di tribù riconosciuta di cui godono i Kuki che da sempre occupano i terreni sopraelevati. Preoccupati che in questo modo gli indù potessero appropriarsi delle loro terre ancestrali, hanno organizzato una marcia di protesta pacifica poi sfociata in scontri settari.
Diversi commentatori sono concordi sul fatto che sia stato il governo locale del Manipur, guidato dal primo ministro Biren Singh, a creare “un ecosistema favorevole alle rivolte”. Dal 2017 il chief minister, proveniente dallo stesso partito ultranazionalista di destra del premier Modi, il Bharatiya Janata Party, ha creato luoghi di culto e utilizzato figure storiche nel tentativo di spostare la comunità Meitei dalla valle alle zone montagnose. I Kuki nel frattempo sono stati accusati di essere “immigrati illegali”, perché etnicamente vicini ai rifugiati in fuga dal vicino Myanmar dove da oltre due anni è in corso un conflitto civile, e di essere “coltivatori di oppio” o addirittura “narcoterroristi”, un’accusa che secondo molti esperti è infondata perché nel traffico di stupefacenti alla frontiera sono coinvolte tutte le etnie. Il governo locale ha inoltre tentato di creare un registro nazionale dei cittadini per identificare tramite i dati biometrici gli “immigrati illegali”, un modello già applicato nello Stato dell’Assam e che è poi stato dichiarato illegale dalla Corte suprema indiana.
Nel frattempo, però, nonostante la folla intorno alle donne Kuki vittime di stupri e violenze fosse - secondo le testimonianze - di circa 900-1.000 persone, solo sette uomini sono stati arrestati dalla polizia finora. Le donne hanno dichiarato che a consegnarle alla folla erano state proprio le forze dell’ordine e che i crimini nei loro confronti erano stati denunciati mesi fa, molto prima che emergesse il video.
(ha collaborato Nirmala Carvalho)
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