Phnom Penh: condannato a 27 anni di detenzione il leader dell'opposizione Kem Sokha
L'accusa è di aver cospirato contro forze straniere. I parlamentari Asean per i diritti umani si sono opposti alla sentenza definendolo "un atto di pura vendetta del premier Hun Sen". E sottolineano che le elezioni previste a luglio - le prime senza un'opposizione parlamentare - "non saranno libere e democratiche".
Phnom Penh (AsiaNews) - “Un atto di pura vendetta del regime di Hun Sen che non ha nulla a che fare con la giustizia”. Così i parlamentari democratici dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, hanno subito bollato la sentenza emessa dal tribunale di Phnom Penh contro il leader dell’opposizione Kem Sokha.
Attivista di lunga data e fondatore del Partito per la salvezza nazionale della Cambogia, ora disciolto, Sokha è stato condannato a 27 anni di detenzione domiciliare per “tradimento”.
Nello specifico, l’accusa era di avere cospirato con forze straniere (gli Stati Uniti) a fini eversivi e la condanna escluderà Kem da qualunque iniziativa politica in vista delle elezioni del prossimo luglio, le prime senza un’opposizione parlamentare al Partito popolare cambogiano di Hun Sen.
L’ambasciatore statunitense W. Patrick Murphy, presente in aula, ha dichiarato che “gli Stati Uniti sono profondamenti toccati dalla condanna di un leader politico del livello di Kem Sokha”. Lo scorso agosto, durante una visita in Cambogia, il segretario di Stato, Antony Bliken, aveva incontrato Kem Sokha e chiarito a Hun Sen la preoccupazione di Washington.
L’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Volker Türk, si è detto sbalordito della sentenza e “preoccupato per i fondamenti delle accuse e la conduzione del processo”, chiedendo l’immediato rilascio del condannato e l’assicurazione che i suoi diritti saranno rispettati, inclusi quelli a un giusto processo e alla piena partecipazione alla vita politica.
“L’autoritarismo ha vinto”, ha commentato Phil Robertson, direttore regionale di Human Rights Watch.
L’incarcerazione del principale oppositore rimasto nel Paese a contrastare lo strapotere del primo ministro, formalmente subordinato al sovrano Norodom Sihamoni (che nella realtà ha un ruolo pressoché simbolico), conclude un percorso in cui Hun Sen, al potere da un quarantennio, ha estromesso ogni opposizione politica e sociale, ignorando le pressioni internazionali e utilizzando doni, collusione e spesso l’intimidazione per piegare il Parlamento e la magistratura: i magistrati chiamati a giudicare questo caso (e i precedenti, contro altri oppositori politici) sono membri del partito di Hun Sen.
“Nessuno dovrebbe lasciarsi ingannare e credere che nella situazione attuale siano possibili in Cambogia elezioni imparziali e libere. Con così tante personalità dell’opposizione imprigionate o in esilio e la continua repressione dell’opposizione il voto sarà soltanto una farsa voluta da Hun Sen e dal suo partito per legittimare il loro potere. La comunità internazionale non dovrebbe cadere in un simile inganno”, avverte Mercy Barends, presidente del gruppo parlamentari Asean per i diritti umani.