Peter Jacob: Le scuole del Pakistan sono intrise di odio. La lista degli uccisi
L’ultimo episodio di violenza è stato l’omicidio di un professore d’inglese, accusato di blasfemia per aver organizzato una festa mista con maschi e femmine. Il direttore esecutivo del Centro per la giustizia sociale presenta i nomi dei docenti che hanno pagato a caro prezzo – con la vita o l’esilio – il voler “dare libero sfogo alla propria creatività educativa”.
Lahore (AsiaNews) – Il sistema educativo in Pakistan è “intriso di odio”. È quanto afferma Peter Jacob, direttore esecutivo del Centro per la giustizia sociale (Csj) di Lahore ed ex segretario esecutivo della Commissione nazionale Giustizia e pace della Conferenza episcopale pakistana. Egli prende spunto dall’ultimo tragico episodio di violenza avvenuto in una scuola del Paese, quello di un professore d’inglese accoltellato a morte da un alunno che lo accusava di blasfemia per aver organizzato una festa mista per maschi e femmine. Jacob ripercorre una lunghissima lista di omicidi compiuti nei corridoi scolastici contro coloro che esprimono idee liberali. A colpire più di tutto, un dettaglio: le violenze sono state attuate soprattutto contro i docenti. Segno, sottolinea l’intellettuale cattolico, di quella “propaganda dell’odio” che ha, nelle giovani menti, terreno fertile e che si propaga attraverso “libri di testo pieni di pregiudizi religiosi e discriminazione”. Di seguito il suo commento (traduzione a cura di AsiaNews).
Il 20 marzo scorso Khalid Hameed, professore al Sadiq Egerton College di Bahawalpur, è stato accoltellato a morte da un suo studente, Khateeb Hussain, sospettoso delle credenziali religiose del suo insegnante. In seguito lo studente – mentre era in custodia degli agenti del 1122, che hanno bendato le sue mani ferite durante l’attacco – ha dichiarato che il suo atto era giustificato.
Questo omicidio a sangue freddo riflette la mentalità dilagante nella nostra società, che sposa l’intolleranza estrema verso qualsiasi cosa venga vista come una digressione dalla specifica interpretazione del comportamento religioso [ritenuto] appropriato. Sfortunatamente questa tendenza è prevalsa negli ultimi 30 anni e si è rafforzata dopo ogni incidente di questo tipo.
C’è una lunga lista di insegnanti che hanno affrontato conseguenze simili a [quanto avvenuto] a Khalid – e molti docenti continuano a rischiare la propria vita, la libertà e il benessere mentre portano avanti le loro responsabilità professionali. È sufficiente osservare alcuni incidenti per capire la gravità di questo problema.
Nel 1992 Naimat Ahmer, un poeta vincitore del premio Adamjee e insegnante a Faisalabad, aveva fiutato il pericolo quando era stata fatta circolare una nota scritta a mano che mal interpretava una sua frase pronunciata durante una lezione. [Per questo] aveva chiesto alla scuola di essere trasferito. Comunque egli è stato ucciso da un suo studente che aveva subito il lavaggio del cervello da un collega geloso della promozione di Ahmer come preside.
Nel 1993 il prof. Itrat Kazmi è stato incarcerato a Rahim Yar Khan dopo essere stato accusato di blasfemia in base alla sezione 295-C del Codice penale pakistano. Lo stesso anno il prof. Allah Bux di Shujaabad è stato accusato di blasfemia dopo aver tentato d’interpretare un versetto del Corano nel libro di testo, cosa che non è piaciuta ad un suo alunno. Bux è scampato alla detenzione e al processo grazie ai suoi forti legami con un partito politico-religioso, anche se comunque egli è dovuto rimanere nascosto per diversi mesi.
Anche alcune insegnanti sono state incolpate di blasfemia mentre facevano lezione. Tra queste, Catherine Shaheen e Bushra Taseer, rispettivamente nel 1995 e 1996. La prima è stata costretta ad abbandonare il Paese insieme alla famiglia per evitare circostanze ben peggiori del trasferimento.
Zahid Hussain Mirza, ex preside del Government Degree College di Azad Jammu e Kashmir, è stato incolpato di presunti insulti nei confronti del Corano, secondo la Sezione 295-B del Codice penale pakistano. Egli è stato tenuto in carcere per anni. Aveva scritto un libro che i seguaci di un’altra setta consideravano blasfemo, sebbene il libro avesse ottenuto l’ammirazione anche dell’imam di Kaaba. In apparenza, la polizia ha dovuto registrare la denuncia per salvargli la vita da una folla che si era radunata vicino casa sua nel 2000.
Nel 2010 il dott. Farooq Khan, religioso islamico e vice-cancelliere fondatore della Swat University, è stato assassinato nella sua clinica di Mardan per la sua coraggiosa opposizione contro la violenza in nome della religione. Nel 2012 il maestro Abdul Qudoos Ahmad è stato ucciso a Rabwa.
Junaid Hafeez, docente universitario a Multan, langue in carcere dal 2013 con accuse di blasfemia. Nel 2014 il suo avvocato Rashid Rehman è stato assassinato per averne patrocinato il caso. Nel 2014 il prof. Shakeel Auj dell’Università di Karachi è stato ucciso mentre viaggiava nella sua auto. Anche se la responsabilità rimane ancora da accertare, è noto che un collega geloso aveva falsamente accusato Auj di blasfemia prima che fosse ucciso.
Nel 2015 la dott.ssa Bernadette Dean, educatrice esperta e membro del comitato consultivo nominato dal governo per la riforma dei piani di studio e dei testi, ha dovuto abbandonare il Paese temendo per la propria vita, dopo aver ricevuto telefonate minatori e affrontato la propaganda dell’odio.
Anche molti studenti sono rimasti vittime dell’ambiente intollerante nei nostri istituti educativi. Nel 2017 il linciaggio di Mashal Khan alla Abdul Wali Khan University di Mardan da parte di studenti e dipendenti della facoltà, è un esempio di quanto ostili possano diventare le cose per ogni studente che vuole esercitare la libertà di studio.
Nel 2018 Faheem, studente della 12ma classe, ha sparato contro Hafiz Sareer Ahmed, suo preside a Shabqadar, [nella provincia di] Khyber Pakhtunkhwa, perché quest’ultimo gli aveva fatto una ramanzina per aver saltato le lezioni per partecipare ad una manifestazione a Islamabad.
Questi casi, e molti altri simili, difficilmente hanno ottenuto giustizia, cosa che finisce per perpetuare un clima di paura e intimidazione nei “centri di apprendimento” nel nostro Paese. Alcuni membri del mondo accademico, allineati con le infrastrutture dell’odio e dell’intolleranza nella società, cospirano in maniera attiva contro quei professori e insegnanti che osano mettere in pratica la loro creatività e libertà accademica.
Pregiudizi religiosi e discriminazioni accumulati nei nostri libri di testo e nel sistema educativo contribuiscono in larga misura a nutrire un comportamento violento tra gli studenti. Ora coloro che prendono le decisioni nel sistema educativo, che hanno fallito nel rispondere a questa allarmante situazione, devono uscire dalla modalità “negazione”.
I governi provinciali e federali stanno pensando ad una nuova politica educativa. La politica deve includere misure e passi per aiutare i nostri giovani e i nostri insegnanti a stare al sicuro e lontano dall’attuale soffocante odio basato sulla religione nei nostri campus.
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