Per penetrare in Africa, l’India esporta tecnologia e istruzione
Gli Stati africani finora hanno ceduto le materie prime in cambio di valuta estera, o della realizzazione di opere e infrastrutture (strade, ponti, palazzi, ma anche sistemi di telecomunicazioni e raffinerie). Ma sempre più i Paesi ora chiedono tecnologia, invece che denaro.
Mwesiga Baregu, docente all’Università St. Augustine in Tanzania, spiega che importare tecnologia significa creare posti di lavoro e migliori opportunità di sviluppo. Anche perché nel Continente si stimano presenti non meno di duemila ditte cinesi, che portano via le materie prime e inondano i mercati con proprie manifatture, strangolando le nascenti industrie locali. Inoltre queste ditte portano propri tecnici, dirigenti e lavoratori per realizzare le opere cedute in cambio di materie prime.
“L’India – spiega Ajay Kumar Dubey, professore del Dipartimento studi africani all’Università Jawaharlal Nehru – non può competere con Cina o Stati Uniti”, ma cerca una diversa forma di collaborazione condividendo la sua tecnologia. Dubey cita l’esempio del progetto Pan-African e-Network: corsi specialistici tenuti in India e trasmessi via internet in Africa.
Il Pan-Africa e-Network è iniziato nel febbraio 2009 in Benin, Burkina Faso, Etiopia, Gabon, Gambia, Ghana, Mauritius, Nigeria, Rwanda, Senegal e Seychelles. Con la seconda fase sono stati compresi Botswana, Burundi, Costa d’Avorio, Gibuti, Egitto, Eritrea, Libia, Malawi, Mozambico, Somalia, Uganda e Zambia. Il progetto è finanziato e guidato dalla statale Telecommunications Consultants India Ltd (Tcil) per 125 milioni di dollari.
I docenti fanno lezione da prestigiosi istituti come l’Istituto indiano di scienze, l’Università di Madras, l’Università Delhi, l’Università nazionale aperta Indira Gandhi, l’Università Amity e l’Istituto indiano di tecnologia a Kanpur. Le lezioni sono trasmesse nelle università di 33 Paesi africani, tra cui l’Università di scienze e tecnologia Kwame Nkrumah in Ghana, l’Università Makerere in Uganda e l’Università Yaounde in Camerun. Sono seguite da circa duemila studenti africani regolarmente iscritti, anche se esperti dicono che i “partecipanti” sono molti di più.
Davies Rwabu, secondo anno del Master di International Business dell’Università Makerere, spiega all’agenzia InterPressService che l’interazione va molto oltre le sole lezioni. L’Università Makerere ha dedicato due sale ai corsi, “c’è una videoconferenza online settimanale di circa 3 ore”, ma gli studenti hanno poi a disposizione un portale per prendere appunti ma anche per accedere ad altri contenuti correlati.
Gli studenti a Makerere pagano 200 dollari per semestre, mentre i corsi simili costano 1.240 dollari. L’India utilizza la somma per pagare i tecnici locali e i coordinatori del progetto. Il corso rilascia un diploma in Informazione tecnologica e un master in Management e controllo finanziario e commercio internazionale. I responsabili del progetto puntano a impartire un’istruzione di qualità ad almeno 10mila studenti entro 5 anni.
Oltre a questo progetto, l’India fornisce consulenza e assistenza tecnica in molti settori. Come i crcai 15mila studenti africani impegnati in diversi programmi di studi, molti dei quali sono autofinanziati. New Delhi progetta la creazione di istituti India-Africa specializzati in vari settori: dal commercio estero all’amministrazione, dai diamanti alle risorse umane, come fulcro dei futuri rapporti. Per il 2011 è previsto in Etiopia il 2° Summit tra India e Paesi africani, dopo quello di New Delhi del 2008 (nella foto).