Per la prima volta Riyadh tra gli Stati che violano la libertà di religione
Più volte in passato il Papa ha lamentato il non rispetto di tale diritto
Washington (AsiaNews) - Per la prima volta l'Arabia Saudita è stata posta dal Dipartimento di Stato Usa tra i Paesi nei quali ci sono "violazioni particolarmente gravi" della libertà religiosa e per questo potenzialmente soggetti a sanzioni da Washington. Riyadh è entrata così a far parte così degli 8 Stati (su 191 esaminati) "oggetto di preoccupazione particolare": 5 erano già nel rapporto dell'anno scorso (Birmania, Cina, Iran, Corea del Nord, Sudan) e 3 sono nuovi: oltre all'Arabia Saudita, Eritrea e Vietnam.
Gli altri anni le violazioni in Arabia Saudita erano citate, ma è la prima volta che il Paese è messo nella lista deelle "violazioni particolarmente gravi". Seppure con un ritardo di 20 anni, il rapporto condivide così le affermazioni che il Vaticano e il Papa personalmente hanno fatto sulla violazione del diritto a manifestare liberamente la propria fede in Paesi musulmani, e in Arabia Saudita in particolare. Giovanni Paolo II si è espresso contro tale violazione anche in occasioni particolarmente solenni, come nel giorno dell'inaugurazione della moschea di Roma, nel 1995, o in alcuni discorsi al corpo diplomatico accreditato in Vaticano, come quando, nel 1999, parlò, con un chiaro e riconosciuto riferimento all'Arabia Saudita, di "un Paese nel quale il culto cristiano è totalmente vietato e dove possedere una Bibbia è un crimine".
Nell'annuale rapporto Usa dedicato al rispetto della libertà religiosa, il Dipartimento di Stato afferma che "la libertà di religione non esiste" nel Paese, in quanto ne sono "rifiutati i fondamenti a tutti, tranne che ai seguaci della versione dell'Islam sunnita avallata dallo Stato", che è quella wahabita. Il rapporto segnala in particolare il comportamento della Muttawa, la polizia religiosa saudita, e "il violento linguaggio anticristiano e antiebraico" dei predicatori "pagati dal governo".
La decisione del Dipartimento di Stato e' stata accolta con favore da Preeta D. Bansal, capo della Commissione Usa per la libertà internazionale, un gruppo indipendente sostenuto dal governo americano e che da' suggerimenti al Dipartimento di Stato. Egli ha affermato che la decisione presa nei confronti dell'Arabia Saudita è motivata non solo dal comportamento da essa tenuto all'interno dei suoi confini, ma anche "dalla propaganda e diffusione nel mondo di una ideologia di odio e intolleranza religiosi". Alex Arriaga di Amnesty International USA ha chiesto "sostanziali pressioni" per ottenere un qualche miglioramento nella repressione religiosa in Arabia Saudita.
Ma, a conferma del ruolo chiave che Riyadh gioca nella politica statunitense nell'area mediorientale, malgrado l'inclusione dell'Arabia Saudita nella lista del Dipartimento di Stato, l'ambasciatore John Hanford, alto dirigente nell'ufficio della libertà religiosa, ha rivelato che sulla questione l'amministrazione Usa ha avuto colloqui con i sauditi, ha evidenziato la recente dichiarazione del principe Abdullah a favore della tolleranza, sottolineando le notizie dell'inizio dei colloqui con la minoranza sciita ed il fatto che sono stati pubblicati libri di testo che eliminano le affermazioni discriminatorie nei confronti delle minoranze religiose. Passi che comunque, a suo avviso, non sono sufficienti per evitare l'inclusione tra i Paesi che violano la libertà religiosa.
L'ambasciata saudita non ha voluto commentare la decisione del Dipartimento di Stato, che nel regno è stata praticamente ignorata dalla stampa. Del documento ha parlato un solo giornale, Al-Watan, affermando che Washington "sostiene in modo pretestuoso che in Arabia Saudita non c'è libertà di religione". Abdulaziz al-Fayez, membro del Saudi Arabia's consultative Shura Council, ha collegato la decisione americana nella propaganda della campagna elettorale presidenziale, in risposta alle accuse dei Democratici. "L'Arabia Saudita ha aggiunto è la culla dell'Islam. Stanno chiedendo di avere qui chiese o sinagoghe o templi buddisti?". "Tutti i sauditi sono musulmani e questo è uno Stato musulmano. Ma nessuna indaga su ciò che si fa nel privato della propria casa".
In realtà nel Paese ci sono almeno 6 milioni di lavoratori stranieri, in gran parte non musulmani, e la Middle East Concern (Mec), associazione che si occupa della condizione dei cristiani nella regione ancora in questi giorni ha denunciato la situazione di Brian O'Connor, in prigione da marzo con l'accusa, tra l'altro, di possedere Bibbie. Secondo il Mec, le bibbie che incolpano O'Connor erano all'interno della sua abitazione, dove egli guidava un gruppo di studio con persone di fede cattolica, appartenenti a diverse nazionalità, tutti immigrati.
Secondo il Mec, O'Connor, di nazionalità indiana, dopo l'arresto è stato picchiato, torturato e minacciato di morte. Ad aprile la sua ambasciata aveva chiesto al governo saudita i motivi dell'arresto di O'Connor, ma non ha avuto alcuna risposta. AsiaNews, assieme a diverse associazioni ha lanciato una campagna internazionale per la sua liberazione.