07/06/2019, 13.05
SUDAN
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Per i Paesi del Golfo, a Khartoum meglio la dittatura che l’anarchia

Arabia Saudita, Emirati ed Egitto continuano a sostenere la giunta militare anche dopo la repressione del pacifico sit-in, che ha provocato più di 100 morti. E l’esercito sudanese è impegnato nella guerra in corso nello Yemen a fianco dei sauditi.

Beirut (AsiaNews) – Meglio la dittatura che l’anarchia. E’ il principio in base al quale i Paesi del Golfo, e in particolare i sauditi, continuano a dare sostegno al generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan , anche all’indomani della violenta repressione del sit-in che da settimane stazionava davanti al palazzo sede dell’esercito e che ha provocato, lunedì scorso, 108 morti e 500 feriti.

“L’esperienza ci ha insegnato che una transizione ordinata e che preservi le istituzioni dello Stato è il solo mezzo per evitare anni di caos e violenze”. E’ la significativa dichiarazione resa, all’indomani della repressione fatta dai militari, da Anwar Gargash, ministro degli esteri degli Emirati arabi, uno degli uomini più influenti della regione.

L’ombra dell’asse filo-saudita, che comprende, Riyadh, Abu Dhabi e Il Cairo, è scesa sulle aspirazioni democratiche sudanesi. Significativamente, nei giorni scorsi il generale Abdelrahman Burhan si è recato al Cairo e ad Abu Dhabi. E l’esercito sudanese è impegnato nella guerra in corso nello Yemen a fianco dei sauditi.

A fine aprile, infatti, i Paesi del Golfo e l’Arabia Saudita hanno inviato più di 3 miliardi di dollari per “l’acquisto da parte del popolo sudanese di prodotti alimentari, medicine e prodotti petroliferi”, secondo quanto affermato dall’agenzia saudita SPA.

I legami tra il Sudan e i Paesi del Golfo, peraltro, non sono nuovi. Arabia Saudita, Emirati e Qatar avevano buoni rapporti anche con Omar al-Bashir, il dittatore deposto l’11 aprile, che proprio per le pressioni saudite aveva anche interrotto i rapporti diplomatici con l’Iran. E dal 2015 aveva impegnato suoi militari nello Yemen. La fine di quest’ultimo impegno era tra gli slogan del sit-in, che contestavano i Paesi del Golfo e l’Egitto e anche gli aiuti sauditi.

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