Per fermare scandali e corruzione, il Partito invoca la “coscienza” dei suoi membri
Pechino (AsiaNews) - Travolto da scandali e da ruberie continue, il regime comunista cinese continua nella sua opera di "moralizzazione" dei membri del Partito attraverso libri e corsi di rieducazione. Ma gli esperti avvertono che questa battaglia è inutile senza un vero stato di diritto e una vera libertà per i cittadini di criticare il governo. L'ultimo tentativo in ordine di tempo è un set di 4 libri - intitolati "Studio sull'integrità morale dei funzionari pubblici nella Cina antica e contemporanea - che sarà usato come materiale di studio per i membri del Pcc.
I volumi sono stati curati negli ultimi 2 anni dall'Accademia delle scienze sociali di Pechino, che ha ricevuto l'ordine di prepararli dalla Commissione disciplinare e di propaganda del Partito comunista cinese. Nel testo sono citati casi di studio antichi e moderni, proverbi e filosofie confuciane e taoiste riguardo la corruzione e la virtù, il desiderio di servire il popolo, la lealtà, il pragmatismo e l'autodisciplina. Si tratta dell'ennesimo passo indietro rispetto alla rivoluzione maoista, che aveva messo in un angolo i classici del pensiero cinese.
Secondo il Beijing Daily, che ha dato la notizia, "coloro che agiscono in base alla propria coscienza sono buoni funzionari, mentre coloro che vanno contro sono cattivi. I ricercatori ritengono che le caratteristiche di un cattivo ufficiale siano avarizia eccessiva, tirannia brutale e la tendenza a abusare della popolazione ordinaria".
Il professor Hu Xingdou, commentatore politico dell'Istituto di tecnologia di Pechino, è però scettico. Secondo il docente, i valori morali servono solo come linee guida: "Se vuole davvero battere la corruzione, il governo deve mettere in atto un vero stato di diritto e deve consentire al popolo di criticare liberamente l'esecutivo e i suoi membri. Hanno usato il marxismo e non ha funzionato, hanno usato il confucianesimo e non ha funzionato. Quello che dicono ora è inutile".