Pechino: nessun nesso tra l’arresto di Chen e i buoni rapporti con Taiwan
Taipei (AsiaNews/Agenzie) – Pechino si affretta a dichiarare che “non c’è alcun nesso” tra i migliori rapporti instaurati di recente con Taiwan e l’arresto, ieri, dell’ex presidente Chen Shui-bian, convinto assertore dell’indipendenza dell’Isola e assai mal visto dalla Cina.
Chen (nella foto, dopo l’arresto) è stato detenuto con l’accusa di corruzione, dopo essere stato interrogato per circa 11 ore su un uso illecito di fondi pubblici durante la sua presidenza. Portato via dalla polizia, ai media presenti ha urlato che si tratta di una “persecuzione politica e giudiziaria”, accusando l’attuale presidente Ma Ying Jeou di voler così “placare Pechino”, adirata per le violente proteste che hanno accompagnato la scorsa settimana la missione del suo inviato sull’Isola.
Fan Liqing, responsabile del governo cinese per l’Ufficio affari Taiwan, ha risposto che questa accusa è “una pura invenzione”.
Non risulta alcun commento di Ma, che a maggio è succeduto a Chen dopo 8 anni. L’avvento di Ma ha aperto migliori rapporti tra i 2 Paesi, sempre più tesi durante la presidenza di Chen, aperto assertore della formale indipendenza di Taiwan. Invece Pechino la considera parte del suo territorio e ha sempre dichiarato che interverrà con le armi in caso di una dichiarazione formale di indipendenza. I migliori nuovi rapporti sono culminati la settimana scorsa con l’arrivo a Taiwan di Chen Yunlin, massima personalità proveniente dalla Cina dal 1949. Le 2 parti hanno siglato importanti accordi, ma durante la visita di 5 giorni ci sono state continue proteste di piazza, che hanno adirato Pechino.
Chen è accusato di avere portato sottratto milioni di dollari quali non meglio precisati “fondi diplomatici segreti”, portati su conti svizzeri e poi delle Isole Cayman. Il procuratore ha chiesto la detenzione per esigenze istruttorie, mentre accerta se “questi fondi sono residui di donazioni per la campagna politica [come afferma Chen] o proventi di corruzione” e di altri reati.
La Corte distrettuale ha dichiarato che, “dopo l’interrogatorio dell’indagato, ritiene esserci gravi indizi [di sussistenza] dei delitti imputati” e “sufficienti indizi per ritenere che sia stata occultata e alterata la verità, fabbricate prove, concordate versioni tra indagati o testimoni”.
La carcerazione per esigenze istruttorie può arrivare a 4 mesi.