Pechino non può “compensare con denaro il massacro” di piazza Tiananmen
Dharamsala (AsiaNews) – “La Cina è brutale contro tutti, contro le minoranze ma anche contro il suo stesso popolo. Non solo per il massacro di Piazza Tiananmen, la repressione brutale è continuata da allora a oggi: tibetani, mongoli, uighuri, etnici della Manciuria, tutti stanno soffrendo”. S. Rinpoche, primo ministro uscente del governo tibetano in esilio, spiega ad AsiaNews che la persecuzione di Pechino contro il suo popolo è una costante della politica cinese, immutata dopo decenni.
Rinpoche dice ad AsiaNews che la Cina ha la politica di distruggere in modo completo l’identità nazionale e culturale sia dei tibetani che di tutte le 55 minoranze del Paese. Per questo “usa ogni metodo, anche oppressivo e brutale, per eliminare linguaggio, cultura, tradizioni ed eredità spirituale dei tibetani”.
Ma Pechino è oppressiva contro il suo stesso popolo. Sono passati 22 anni dal 4 giugno 1989, quando l’esercito cinese ha sparato contro studenti e operati che occupavano in modo pacifico piazza Tiananmen a Pechino chiedendo riforme democratiche, uccidendone centinaia, forse migliaia. Sull’episodio la Cina ha posto una severa censura: ieri il gruppo delle Madri di Tiananmen, che raccoglie genitori dei giovani morti o “scomparsi” nel massacro, ha denunciato che il governo ha offerto loro risarcimenti, ma non accetta di parlare della vicenda e ricordare i morti.
Rinpoche commenta che “è privo di senso offrire un indennizzo alle Madri di Tiananmen” senza accettare di discutere di quel massacro. “Non è per nulla ragionevole”. “Noi non abbiamo parole per consolare le Madri di Tiananmen, la Cina non accetta che questo massacro sia stato ingiusto e il governo non mostra pentimento né si scusa, possiamo solo condividere la loro sofferenza e condannare un episodio orribile e inescusabile”.
Pechino, nella persecuzione contro il popolo tibetano, ha proibito il Nyung Ne (il digiuno rituale osservato dai fedeli buddisti nel mese di Saka Dawa) per i monaci e i fedeli del monastero di Drepung, uno dei “tre grandi” luoghi di culto del Tibet (vedi AsiaNews 1.6.2011, Tibet, Pechino proibisce persino i rituali religiosi). Le autorità stanno combattendo da mesi contro il monastero, dove si riuniscono tutti coloro che non vogliono la dominazione comunista della regione. Finora, però, avevano lasciato libere le pratiche religiose.
Rinpoche osserva che, “comunque, mentre ci aspettiamo queste repressioni del governo cinese, è davvero una sfortuna che la comunità internazionale sia priva di voce, il silenzio delle Nazioni del mondo è più condannabile a fronte di un genocidio di popolazione e cultura, anche nel 21° secolo le popolazioni non hanno sicurezza, non c’è difesa delle culture. Non c’è alcuna organizzazione, istituzione o agenzia che impedisca simili cose o anche protesti, è davvero avvilente”.
Anche Sajan K. George, presidente del Consiglio globale degli indiani cristiani (Gcic), condanna con forza il rifiuto di Pechino di scusarsi con le Madri di Tiananmen, ma anche il silenzio della comunità mondiale.Egli dice ad AsiaNews che “il massacro di piazza Tiananmen del 4 giugno è stato un attacco contro l’umanità, il Gcic è solidale con le Madri di Tiananmen. Il governo cinese rifiuta di riconoscere che questo massacro è stato una grave violazione dei diritti umani ed è tragico per la società umana che continui a sostenere che sia stata un rivolta contro lo Stato”.
“Ora il governo tenta di surrogare le perdite di vita con indennizzi, senza nemmeno una scusa per l’operazione militare, e questo è inaccettabile. La potente economia cinese offre beni economici per vite umane e dignità, ma questo degrada il valore e la dignità della stessa vita umana. Se ogni cosa può essere pagata con il denaro, viene meno la dignità della persona umana. Il Gcic è molto preoccupato e addolorato per questa disumanizzazione”.
“Negli ultimi mesi, Pechino è preoccupata per il diffondersi della Rivoluzione del gelsomino, che chiede maggiore democrazia, e le autorità cinesi temono che il vento del cambiamento possa affermarsi in altri Paesi contro regimi totalitari. Devono essere davvero disperate per voler compensare con denaro il sangue del massacro del 4 giugno”.
“Non può permettersi a nessuna nazione di commettere indenne un violazione dei diritti umani contro gente innocente. Il Gcic è solidale con le Madri di Tiananmen perché continuino la loro lotta per la giustizia e l’accertamento di responsabilità”. (NC)