Patriarca caldeo: cristiani in fuga dal conflitto fra curdi e irakeni, timori di un nuovo esodo
Mar Sako denuncia la nuova ondata di violenze che ha investito “le cittadine della piana di Ninive”. Molti abitanti sono fuggiti e si respira una “rinnovata atmosfera di ansia e paura”. Il presidente curdo Barzani annuncia il suo ritiro. E lancia accuse a Baghdad, Washington e agli oppositori interni, colpevoli di tradimento.
Baghdad (AsiaNews) - Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan irakeno ha innescato una nuova ondata di violenze che investono le “cittadine cristiane della piana di Ninive”. Il risultato è che “molti abitanti” sono “fuggiti”, creando una “rinnovata atmosfera di ansia e paura”, che finirà per “dare luogo a nuove divisioni e impedirà la ricostruzione e il ritorno delle persone nelle loro case”.È quanto sottolinea il primate caldeo mar Louis Raphael Sako, in un appello pubblicato sul sito del patriarcato e inviato ad AsiaNews. Nella lettera il leader della Chiesa irakena non nasconde il pericolo che quest’ulteriore conflitto, in una terra già segnata da sofferenze, possa dare “luogo a ulteriori migrazioni all’estero” dei cristiani.
In una situazione di crescente tensione, il 71enne leader curdo Massoud Barzani ha annunciato al Parlamento le dimissioni dalla carica di presidente del Kurdistan, a pochi giorni dalla scadenza del mandato, prevista per il Primo novembre. Egli non intende ricandidarsi alla leadership della regione e lancia un durissimo atto di accusa agli Stati Uniti e a una parte della componente curda. A Washington, egli rimprovera di aver già scordato il sostegno fondamentale dei Peshmerga nella lotta contro lo Stato islamico a Mosul e in altre zone dell’Iraq.
Egli è il principale promotore e artefice del referendum pro indipendenza, in risposta al quale le truppe regolari irakene hanno lanciato una offensiva nei territori - fra cui Kirkuk - da tempo controllati dai curdi. In un intervento rilanciato dalla tv curda, egli ha affermato di voler continuare a “essere un Peshmerga nelle fila del popolo curdo, che difenderà sempre le vittorie ottenute dai curdi”. Barzani ha inoltre accusato il governo di Baghdad di aver violato la tregua e la Costituzione occupando Kirkuk con la forza. E non ha risparmiato attacchi - pur senza riferimenti espliciti - ai rivali dell’Upk (Unione Patriottica del Kurdistan) per il “tradimento” che ha portato alla perdita di Kirkuk (e dei suoi pozzi petroliferi, risorsa essenziale per le casse di Erbil).
In un quadro di tensione e violenze, la Chiesa irakena ha voluto intervenire di nuovo invitando le parti al dialogo “analizzando la situazione e cercando di risolvere tutti i problemi in sospeso con un rinnovato spirito di coraggio e piena responsabilità, guardando al bene del Paese”. Ecco, di seguito, la lettera-appello del Patriarca caldeo inviata ad AsiaNews.
I cristiani non sono una componente esterna all’Iraq, ma sono di fatto una popolazione indigena del Paese. La loro storia, la loro identità e le loro radici, affondano nel tempo andando indietro di migliaia di anni. Oggi, nonostante il loro declino nei numeri a causa delle violenze etniche e religiose, le minacce, i sequestri, le uccisioni, gli espropri dei terreni e i bombardamenti delle loro chiese, in particolare da parte dello Stato islamico (Si, ex Isis) a Mosul e nella piana di Ninive, essi cercano di preservare il loro futuro con dignità e piena uguaglianza con i loro concittadini irakeni.
È ovvio che i cristiani sfollati della piana di Ninive, che stanno cercando di ritornare nelle loro cittadine di origine, si trovano oggi a vivere una situazione di difficoltà.
Sette mesi fa, Mosul e la piana di Ninive sono state liberate dalla morsa dello Stato islamico, l’Isis. Tuttavia, ancora oggi alcune cittadine cristiane sono ancora svuotate dei loro abitanti originari a causa dei gravissimi danni inflitti alle case e alle infrastrutture presenti. Questo è dovuto in massima parte alla incapacità del governo centrale di ricostruirle per la mancanza di fondi e perché non ha voluto dare al ritorno dei cristiani la stessa importanza garantita ad altre situazioni prioritarie. Ad oggi, quanti sono rientrati nelle loro case e dove sono state riparate case e infrastrutture, tutto questo è avvenuto grazie agli sforzi messi in campo dalla Chiesa, pur a fronte di risorse modeste.
L’altro problema riguarda la giurisdizione della piana di Ninive, che è stata unita, stabile e sicura fino al 2003; oggi, invece, si trova al centro di una disputa fra il governo irakeno e le forze curde.
Da quando si è tenuto il referendum per l’indipendenza del Kurdistan irakeno, nel settembre scorso, in cui è emersa con chiarezza la voglia di secessione, si sono susseguiti numerosi scontri sul piano militare fra l’esercito irakeno e le milizie di mobilitazione popolare (Al-Hashd) da un lato, e i Peshmerga curdi dall’altro.
Questi scontri si sono succeduti ai confini delle cittadine cristiane di Ninive, e più di recente a Baqofa e Teleskof. In questi ultimi episodi sono rimasti feriti bambini innocenti, e le case delle famiglie cristiane sono state usate come posizioni di difesa. Il risultato è che molti abitanti di queste cittadine sono fuggiti ancora, creando una rinnovata atmosfera di ansia e paura di un conflitto fra Baghdad ed Erbil, che finirà per dare luogo a nuove divisioni e impedirà la ricostruzione e il ritorno delle persone nelle loro case. Tutto questo darà luogo a ulteriori migrazioni all’estero.
Al fine di preservare la diversità culturale e demografica dell’Iraq, che ha contribuito a livello storico al rinascimento e alla vitalità del Paese, lanciamo un appello al popolo irakeno, perché capisca quanto sia importante la presenza cristiana in Iraq, la loro protezione, invece che spingerli a emigrare. Questa sarebbe una perdita gravissima a livello qualitativo per tutti, in Iraq.
Per raggiungere questi obiettivi di sicurezza e stabilità, chiediamo di:
1. Rimuovere la piana di Ninive dal teatro di battaglia, affinché resti unita come è avvenuto fino al 2003; il governo centrale deve riprendere il controllo della maggior parte delle sue cittadine, di modo che gli abitanti possano ricostruire le loto vite insieme ai loro vicini, senza ulteriori scontri.
2. Integrare le “Guardie della piana di Ninive” e altri gruppi militanti all’interno della polizia federale, sotto la guida di una forza di polizia nazionale unita in cui i membri locali della piana di Ninive siano ricollocati all’interno del territorio, per garantire direttamente la sicurezza della piana. Dato che si tratta di persone del posto, gli abitanti nutriranno di sicuro maggiore fiducia in loro.
3. È necessario alimentare gli sforzi per mantenere la stabilità, la sicurezza e costruire un rapporto di fiducia fra tutti i gruppi di persone della piana di Ninive. Tutti noi dobbiamo sostenere lo sradicamento di una cultura che respinge la diversità, dell’odio e della negazione dell’altro. Dobbiamo cambiare questa mancanza di sostegno alla ricostruzione e, al contrario, aprire la strada al ritorno degli sfollati nelle loro case. In tutto questo, gli abitanti della piana di Ninive dovrebbero avere pieno diritto di accesso ai servizi offerti dallo Stato e assistenza nella riabilitazione dei loro villaggi, città, chiese e scuole, così come avviene per gli abitanti delle altre regioni.
Infine, ci rivolgiamo ai partiti politici e alle organizzazioni cristiane, perché adempiano alla loro missione secondo un principio di unità, cercando di ridimensionare le differenze, al fine di raggiungere un obiettivo comune e aprire una nuova pagina in queste circostanze così difficili. E seguire l’esempio del patriarcato caldeo, che ha aperto il suo cuore a tutti, per il bene comune.
In questa occasione, rinnoviamo con fervore il nostro appello al governo irakeno e alle autorità della Regione autonoma del Kurdistan (Krg), perché siedano al tavolo del dialogo analizzando la situazione e cercando di risolvere tutti i problemi in sospeso con un rinnovato spirito di coraggio e piena responsabilità, guardando al bene del Paese. Per far questo, entrambe le parti devono sapere che il popolo irakeno e il popolo curdo, entrambi sofferenti, rifiutano la prosecuzione della guerra.
* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena
19/10/2017 08:41
29/12/2017 08:54