18/01/2022, 11.23
LIBANO
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Patriarca armeno: superare gli ‘egoismi’ per una vera unità dei cristiani

di Fady Noun

Inaugurata a Beirut la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Nel suo intervento il primate ha attaccato le divisioni che ancora permangono nella Chiesa. Si viene a perdere il vero significato del sacrificio della croce. Lavorare per l’unità, non “trascinare gli altri verso i propri principi”. 

Beirut (AsiaNews/LOJ) - L’ecumenismo è l’atto di redenzione di una precedente rottura. Esso non esiste altro che per rispondere alla preghiera sacerdotale di Cristo: “Che tutti siano uno”, e svanire. Il tema delicato dell’unità della Chiesa si presta spesso a discorsi educati alla cortesia formale. Ma non è questo il caso e il tono scelto dal patriarca armeno-cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian per affrontare, ieri sera, la questione in occasione dell’apertura della Settimana di preghiera nella cattedrale dei santi Elia e Gregorio a piazza Debbas, a Beirut. 

Rivolgendosi con parole pacate, ma ferme, ai patriarchi e ai capi delle Chiese riunite per l’occasione, presente anche il nunzio apostolico in Libano e il patriarca maronita, il patriarca Minassian non ha esitato a mettere il dito sulla piaga, affermando che le divisioni sono proprie dell’uomo, e che la via maestra per risolvere una volta per tutte la questione è quella di mettere fine a tutti “gli egoismi individuali e collettivi”. 

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si tiene ogni anno dal 18 al 24 gennaio. In tutte le chiese del Libano e del mondo, questi otto giorni sono caratterizzati da meditazioni quotidiane che i fedeli presenti alla messa possono seguire in un libretto messo a loro disposizione dal Consiglio delle Chiese del Medio oriente (Cemo). 

Quest’anno le meditazioni sono state affidate dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani al Cemo, che ha sede a Beirut. Il loro tema è tratto dalle parole pronunciate dai re magi al loro arrivo a Gerusalemme e riportate dal Vangelo secondo Matteo: “Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Al centro di queste riflessioni, la situazione assai difficile dei cristiani oggi in Oriente e l’urgenza di lavorare per l’unità. È stato il capo della Chiesa armena cattolica, ospite della cerimonia, a pronunciare l’esortazione centrale.

Dei “gesti che non corrispondono alle buone intenzioni”

Lontano dalle formule edulcorate delle meditazioni tradizionali, il patriarca Minassian ha ricordato ai suoi pari che “le Chiese continuano a subire divisioni che le hanno fatte a pezzi in passato” a causa degli “egoismi individuali e collettivi” mostrati dagli uomini di Chiesa e dalle gerarchie religiose. Egli ha poi affermato che “le loro azioni non corrispondono alle buone intenzioni” e “non colgono il vero significato” del sacrificio della Croce. 

Denunciando una delle “architravi” dell’ecumenismo, che consiste nel “lavorare per l’unità, ma con lo scopo di trascinare gli altri verso i propri principi”, il capo della Chiesa armeno-cattolica non ha esitato a paragonare le Chiese ai soldati romani che, ai piedi della Croce, si sono divisi le vesti di Gesù. 

Affrontando il delicato argomento della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, sotto la forma del pane e del vino, egli si è mostrato meravigliato del fatto che “il cattolico rifiuti la comunione con gli ortodossi e gli ortodossi rifiutino la comunione con i cattolici”. “Ma il Cristo cattolico è diverso dal Cristo ortodosso - si interroga il patriarca Minassian - o il sacramento del battesimo è diverso nell’uno rispetto all’altro?”. Siamo ben consapevoli, prosegue, che tutti i sacramenti della Chiesa sono stati stabiliti direttamente da Cristo, quindi “dove sta la controversia? La questione non è forse tutta umana, inghiottita dall’egoismo settario, lontana da qualsiasi principio spirituale e cristiano?”.

Per alcuni ambienti ecclesiastici, non vi è dubbio che il messaggio formulato in modo così diretto dal patriarca degli armeni cattolici si riferisce alle “opacità” e agli “errori” a cui il papa ha fatto riferimento nel suo discorso ai patriarchi e ai capi delle Chiese orientali riuniti la scorsa estate in Vaticano (primo luglio). Il pontefice ha detto: “In questo frangente buio abbiamo cercato insieme di orientarci alla luce di Dio. E alla sua luce abbiamo visto anzitutto le nostre opacità: gli sbagli commessi quando non abbiamo testimoniato il Vangelo con coerenza e fino in fondo, le occasioni perse sulla via della fraternità, della riconciliazione e della piena unità. Di questo chiediamo perdono”. In quel caso il papa aveva parlato a nome di tutti. Forse è giunto il tempo che le Chiese orientali parlino ciascuna per conto proprio?

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