Patriarca Rahi: la "gloria del Libano" per la pace e la stabilità in Medio oriente
di Fady Noun
Il capo della Chiesa maronita guarda con preoccupazione agli sviluppi del mondo arabo. Egli assicura maggiore attenzione ai giovani, futuro “della Chiesa e del Libano”. Alla cerimonia di installazione presenti le più alte cariche dello Stato e rappresentati delle varie fazioni. Nel solco di Giovanni Paolo II e del patriarca Sfeir, un monito per una nazione pluralista.
Beirut (AsiaNews) – L’occupazione israeliana e la tutela siriana; la tentazione egemonica di Hezbollah; il principio della parità fra musulmani e cristiani; l’accordo di Taëf, in un contesto in “evoluzione”; la formula libanese per un dialogo islamo-cristiano: tutte le allusioni alla situazione politica nel suo insieme, alla Chiesa maronita in Libano e, in una certa misura, ai cristiani del mondo arabo, erano presenti nel discorso pronunciato lo scorso 25 marzo dal Patriarca Béchara Boutros Rahi, nel corso della cerimonia ufficiale della sua installazione come successore del Patriarca Sfeir.
Questa cerimonia si è svolta presso la sede patriarcale di Bkerké, il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, secondo la volontà espressa dal nuovo patriarca, il cui nome è “Béchara”, che in arabo significa “Annunciazione”. Tutti i funzionari libanesi hanno assistito alla cerimonia, in testa il capo di Stato, il cristiano Michel Suleiman. Per l’occasione, i dissapori sono stati messi da parte e avversari politici come Samir Geagea, capo delle “Forze libanesi”, il generale Michel Aoun, Mohammed Raad, leader del blocco parlamentare di Hezbollah, il presidente del Consiglio designato Nagib Mikati e il suo rivale dimissionario Saad Hariri, erano tutti seduti nella stessa fila.
Inoltre, molte delegazioni popolari hanno voluto assistere alla cerimonia di installazione del nuovo patriarca, confermando così, se ancora ci fosse bisogno, che quest’ultimo gode di vasta popolarità tra i fedeli e che la sua elezione – con il voto quasi unanime di tutti i vescovi, dopo soli tre giorni di dibattiti e voti – riflette davvero la volontà dei fedeli. Inserendosi nel solco di una successione patriarcale vecchia di 1600 anni, e in particolare di quella del diretto predecessore, che si è ritirato volontariamente un mese fa a causa dell’età (91 anni), il nuovo patriarca – il cenno è relativo alla polemica sull’uso delle armi di Hezbollah – ha affermato che “nessuno può monopolizzarla (la patria), perché il suo accentramento nelle mani di una fazione va a detrimento di tutte le altre”.
Riferendosi alla festa dell’Annunciazione, dal 2010 “festa nazionale comune fra cristiani e musulmani” , il patriarca Rahi non ha avuto esitazioni nel dire che il motto patriarcale “Le è data la gloria del Libano” – allusione a un passaggio del profeta Isaia – non si concretizza, se l’azione del patriarca non si inserisce in un contesto di apertura delle “famiglie spirituali” libanesi, le une verso le altre.
E in questo caso, ha aggiunto, la gloria concessa al patriarca diviene la gloria stessa del Libano, del suo messaggio e del suo modello, che papa Giovanni Paolo II ha fissato in termini assoluti. In caso contrario, ha continuato, “questa gloria impallidisce”. Si ricorda che già negli anni ’90 il Grande pontefice aveva forgiato una formula la quale, nel tempo, ha fatto fortuna: “Il Libano è più di un Paese – ha detto papa Wojtyla – è un messaggio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”. Quindi ciò che il nuovo patriarca vuole affermare, nella continuazione di questa ammirevole formula, è quanto il patriarca Nasrallah Sfeir non ha mai smesso di ripetere nel corso degli anni: realizzare che il Libano non appartiene ai maroniti, ma i maroniti – o ancora la Chiesa maronita – appartengono al Libano”.
Il nuovo capo della Chiesa maronita ha al tempo stesso promesso di concedere una priorità assoluta agli 1,3 milioni di giovani, “futuro della Chiesa e del Libano”, iscritti nelle scuole e nelle università. Una buona percentuale di questi giovani frequenta istituti o università cattoliche. Egli si è detto impegnato verso il mondo degli emigrati. Si tratta di milioni di maroniti che vivono nei Paesi di emigrazione, ai quali la Fondazione maroniti nel mondo vorrebbe ridare la nazionalità libanese, messa da parte per necessità o trascuratezza. E ha infine dichiarato di “seguire con preoccupazione” gli sviluppi che si stanno succedendo nel mondo arabo, precisando di pregare per “la stabilità e la pace” della regione.
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