Patriarca Pizzaballa: Natale di misericordia risposta a ‘sangue e violenze’ in Terra Santa
Il prelato sottolinea il “silenzio” che è calato sulle morti legate al conflitto israelo-palestinese. Timori sul linguaggio usato da alti esponenti del prossimo governo israeliano, le cui prospettive “non sono incoraggianti”. Le prime celebrazioni “aperte” dopo le restrizioni imposte dal Covid-19 e la “sorprendente esplosione” dei pellegrinaggi.
Milano (AsiaNews) - Un “anno di sangue passato sotto silenzio” e la “preoccupazione” per il linguaggio “violento” utilizzato da esponenti della futura coalizione di governo, che vedrà il ritorno al potere del premier israeliano di lungo corso Benjamin Netanyahu. Sono alcuni passaggi dell’intervista ad AsiaNews del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, di rientro da una visita pastorale a Gaza e alla vigilia delle celebrazioni per il Natale. Il primate parla di una festa “senza restrizioni, aperta” dopo le chiusure imposte dalla pandemia di Covid-19 e caratterizzata dall’arrivo “sorprendente” di un gran numero di pellegrini, soprattutto dall’Asia in cui prevale “l’elemento devozionale”. Infine l’accenno alle migrazioni, che rischiano di svuotare la Terra Santa della componente cristiana. Di seguito, l’intervista al patriarca Pizzaballa:
Beatitudine, che Natale sarà per i cristiani di Terra Santa?
Sarà un Natale senza restrizioni, aperto, con la presenza di numerosi pellegrini. Siamo tornati a una situazione di normalità [pre-pandemia Covid], senza particolari problemi.
Si aspettava una ripresa così consistente dei pellegrinaggi?
Il loro numero è entusiasmante e sorprendente. Sapevamo ci sarebbe stata una ripresa, ma ascoltando anche le previsioni dei ministeri si pensava a un moto graduale. Invece assistiamo a una vera e propria esplosione. Inoltre è cambiata la provenienza: l’Europa è più bassa come numeri, mentre Stati Uniti, Americhe in generale, Asia ma la stessa Africa crescono molto.
Cosa differenza quanti arrivano oggi, soprattutto dall’Asia, rispetto al passato?
In passato sia a causa dei visti sia per motivi economici, il pellegrinaggio era molto più semplice dai Paesi occidentali, Europa e Usa su tutti. Ora la situazione è cambiata sia a livello economico, che in tema di apertura e visti internazionali dopo la pandemia. Tutto questo ha reso l’accesso ai cristiani, non solo cattolici, più facile a partire dall’Indonesia, il Paese musulmano più popoloso al mondo oggi precursore per l’Asia. Inoltre vi è una differenza nel modo di approcciarsi al pellegrinaggio: quello europeo più culturale, turistico, mentre nei Paesi dell’Asia prevale l’elemento religioso e devozionale.
Un altro tema ricorrente è quello della migrazione, che riguarda nel profondo i cristiani…
Io insisto sempre nel dire che i cristiani non sono un mondo a parte, ma vivono la stessa realtà degli altri. Non vi è un problema cristiano, ma possiamo parlare di problema per i cristiani palestinesi legato innanzitutto alla questione palestinese. La difficoltà maggiore è economica ed è connessa con il tema politico, alla fragilità delle prospettive, alle tensioni. Vi sono poi le famiglie preoccupate per il futuro. La migrazione è una tentazione per tutti, non solo per i cristiani, ma essendo noi pochi ha un effetto ben più consistente che sui musulmani, i quali continuano a crescere.
Parlando di migrazioni, ha sollevato ira e proteste a Gaza l’incidente in mare, con otto vittime, che ha coinvolto una imbarcazione di migranti palestinesi. Un elemento nuovo?
Il Mediterraneo non è solo scambi commerciali, di energia e ricchezza, ma è diventato anche un bacino di emigrazione, di flussi di popolazioni dal sud del mondo verso nord e questo fenomeno include anche la Striscia, così come lo abbiamo visto a Cipro col traffico di essere umani. [Nel caso di Gaza] bisogna aggiungere una questione politica in più, perché i palestinesi - e soprattutto quelli della Striscia - non hanno un altro sbocco per uscire.
Patriarca Pizzaballa, si chiude un anno di attacchi e vittime in Israele e Palestina, in molti casi passati silenzio: come si spiega questa deriva sempre più violenta, nell’indifferenza generale?
Vero, quest’anno molti fatti di sangue sono avvenuti nel silenzio. Lo abbiamo denunciato anche noi vescovi cattolici: proprio quest’anno abbiamo avuto il più alto numero di palestinesi morti a causa del contesto politico nei Territori. Non se ne parla più, anche se quasi ogni giorno vi è qualcuno che muore. Sappiamo inoltre che la questione palestinese non è più al centro dell’attenzione della politica internazionale e dei media, il cui interesse pende per l’Ucraina e altre zone del pianeta. La questione palestinese sembra aver stancato i più. A questo si aggiunge una complessità della situazione che mal si concilia con la comunicazione odierna, sempre più veloce e che non lascia tempo e spazio ad approfondimenti.
La fine anno segna, fra gli altri, il ritorno di Benjamin Netanyahu alla carica di primo ministro e il governo più a destra di sempre della storia di Israele. Come si pone la Chiesa?
Parlare di prospettive con questo governo è complicato e abbiamo già espresso le nostre preoccupazioni per il linguaggio violento di alcuni esponenti della coalizione. Una tendenza a escludere sia all’interno della società ebraica sia nei confronti dei non ebrei nello Stato di Israele, oltre alla questione palestinese di cui non vogliono proprio sentir parlare. Le prospettive non sono incoraggianti e mettono a rischio il già delicato equilibrio fra le varie comunità che compongono la nostra società: cristiani, ebrei, musulmani, arabi, palestinesi, israeliani. Come Chiesa continueremo a non abbassare la guardia e a essere molto chiari.
A breve pubblicherà il messaggio di Natale. Qual è il tema centrale?
In un contesto di violenza, in tutti i sensi e a tutti i livelli, il messaggio del Natale è un messaggio di misericordia, che però attende anche una nostra risposta. É il giudizio di Dio sul popolo, che attente una nostra risposta.
02/01/2020 11:14