Passa il velo islamico, come “diritto allo studio”
Ankara (AsiaNews) - Al parlamento turco si è concluso il secondo turno di votazioni circa l’emendamento che permetterà di accedere alle università statali con il velo: 403 i voti favorevoli; 107 i voti contrari. Fin dalla prima campagna elettorale del 2002 il premier Erdogan ha fatto di questo bando una delle sue priorità, considerandola come uno dei primi passi verso un sempre maggiore distacco dai principi secolari che hanno ispirato la repubblica laica voluta da Ataturk. Ora, forte di un solido appoggio popolare e parlamentare, in accordo con il presidente della repubblica e il capo del partito dei nazionalisti, il primo ministro ha riproposto con scaltrezza la sua nuova bozza di legge.
Vista la reazione negativa mostrata da politici, rettori universitari e gente comune, quando ha cercato di giustificare il velo come un simbolo religioso, egli ha abilmente saltato l’ostacolo conquistandosi gli animi aggrappandosi ai diritti umani di ciascuno, alla libertà di espressione e all’istruzione.
Il “diritto allo studio” e le “bugie”
I dibattiti più serrati sono proprio su questo punto: la libertà di indossare il velo all’università. Questa modifica sarebbe un modo per salvaguardare i diritti umani di quella grande fetta di popolazione che, per l’impossibilità a coprirsi il capo, non frequenta gli studi universitari. Non a caso, la modifica costituzionale proposta non nomina il velo o l’abbigliamento delle studentesse, ma dichiara che “nessuno può essere privato dell’esercizio del suo diritto ad una educazione di alto livello per ragioni non specificate dalla legge”.
Ma non tutti si vogliono lasciar “ingannare da questo gioco di finta democrazia”.
Con estrema lucidità e coraggio il giornale Hurriyet, cerca di smascherare le “bugie” usate per commuovere gli animi. “Dicono che a tante ‘povere’ ragazze a causa del velo è proibito andare a scuola. – scrive Ertugrul Ozkok - E’ stata fatta una ricerca sulle motivazioni del loro mancato accesso agli studi ed è così risultato: solo e solo l’1% non procede negli studi per via del velo. Il 30% perché non ha passato l’esame di ammissione; il 14.6 % ha vinto l’esame, ma poi si è sposata e ha lasciato gli studi; il 14% non ha nemmeno tentato l’esame ed è andata subito a lavorare; al 9.8% non piace studiare; e ultima, ma estremamente importante motivazione: il 10.5% non ha ottenuto il permesso dalla famiglia per continuare gli studi superiori”.
Il giornalista di Hurriyet, prende poi in esame il problema secondo cui le ragazze velate volenterose sono costrette ad andare all’estero. Questa, dice l’articolo, è una scusa bella e buona e offende chi non può andare all’estero per motivi economici, o chi studia in patria senza velo, quasi esse non fossero “delle brave musulmane”.
Ozkok ricorda che le figlie di Erdogan, per portare il velo liberamente devono farlo nelle università americane, e non in quelle turche. “Beato lui”, egli afferma, che è un uomo di potere e può permettersi di farlo. E poi, con ironia, si interroga: “Credete voi che dando via libera la velo coloro che stanno studiando a Stanford o a Yale torneranno di corsa in patria a proseguire gli studi?”.
Nonostante ciò, come molti altri giornalisti e intellettuali, Ozkok sostiene che il bando di questo divieto avrà risvolti positivi, ma il forte sospetto è che le motivazioni con cui tutto ciò viene fatto in Parlamento non siano del tutto “limpide”.
Ed è quello che pensano anche tante ragazze universitarie. “Anche noi – dicono alcune - sosteniamo che tutti possano accedere agli studi. E difendiamo le nostre coetanee che non hanno la libertà di vestirsi come vogliono, mentre noi possiamo entrare a scuola in minigonna, pantaloni attillati, truccate e con gli occhiali da sole… se così fosse ben vengano tra i nostri banchi di università con il capo coperto. Ma la nostra paura è che ormai questa sia divenuta una questione politica e religiosa con ben altri interessi sottostanti. E allora non accettiamo che i politici, guarda caso tutti uomini, strumentalizzino la libertà di nostre amiche e coetanee per altri scopi nazionalisti e fondamentalisti”.
Ciò è quanto teme il Chp, il Partito repubblicano del popolo, che ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale e che, nel corso di un dibattito parlamentare molto accesso, sfociato in una rissa, ha accusato il governo Erdogan di avere un piano per introdurre l'uso libero del “turban” ovunque in breve tempo, e quindi per islamizzare il Paese. Ancor oggi, prima di iniziare a votare i più alti rappresentanti del partito repubblicano in Parlamento avevano invitato a usare il buon senso durante la votazione perché tutto quello che è stato salvaguardato durante gli 85 anni della repubblica turca in tema di laicità e democrazia non venga distrutto.
Il futuro: laicità o islamizzazione
Ormai l’emendamento è passato. L’approvazione definitiva spetta al presidente della Repubblica Gul, ma si sa che questa non è altro che una formalità.
La popolazione laica, non ha avuto molta possibilità di parola. Essa si è mobilitata già domenica 2 febbraio con una oceanica manifestazione presso il mausoleo di Ataturk ad Ankara, e ha ripetuto oggi a vuoto la protesta in questo luogo altamente simbolico per i laici.
I militari stanno a guardare: ferrei paladini della laicità dello Stato, lo scorso aprile lanciarono un duro avvertimento contro qualsiasi tentativo di islamizzare la società e le stesse istituzioni nazionali. Ma poi, hanno taciuto. Acconsentiranno a questo nuovo cambiamento nella storia della Repubblica turca, nel più laico dei paesi a maggioranza musulmana?
Ma i problemi non finiscono qui. La posta in gioco è ben più alta di un semplice fazzoletto , colorato o no, indossato – secondo alcune dubbiose statistiche - dall’ 80% delle donne turche.
E fatto nuovo nella storia turca ormai anche i giornali con libertà denunciano sempre più la progressiva islamizzazione del Paese. Già mesi addietro essi avevano gridato allo scandalo ala pubblicazione della traduzione in turco delle avventure di Heidi, la bambina delle Alpi, dove sia lei che le altre protagoniste indossano velo e vestito lungo "tanto amati dai musulmani più osservanti". “Con queste correzioni – si leggeva su Hurriyet - ai bambini si suggerisce che al mondo non esiste altro modo di vivere se non quello indicato dall'islamismo". É sempre più evidente che in Turchia in gioco è il modo di intendere la libertà, la democrazia, la laicità, la religione, il privato e il pubblico.