Parroco di Gaza: l’accordo Hamas-Israele ‘cura palliativa’ in attesa di soluzioni durature
Il patto sottoscritto ieri “allontana la prospettiva di un nuovo scontro” e di ulteriori bombardamenti. E permette di concentrare gli sforzi nell’opera di contenimento del Covid-19. Fra gli abitanti vige un clima di “stoica rassegnazione”. L’embargo resta la principale emergenza da risolvere, blocca l’ingresso di cibo e medicine.
Gaza (AsiaNews) - L’accordo fra Hamas e Israele “allontana la prospettiva di un nuovo scontro” e di “nuovi bombardamenti”, permettendo così di “veicolare gli sforzi” sull’opera di contenimento del nuovo coronavirus dove “si registrano già 130 casi interni” in pochi giorni. È quanto sottolinea ad AsiaNews il parroco di Gaza, p. Gabriel Romanelli, secondo cui è “fondamentale concentrarsi su una emergenza alla volta: le persone prendono con stoica rassegnazione la situazione, senza demoralizzarsi troppo o eccedere nell’euforia”.
Gli abitanti della Striscia, spiega il sacerdote, “non manifestano in modo esplicito le emozioni, le gioie e le tristezze, le speranze e le delusioni. In questo senso si sono abituati a essere duri, a non credere troppo nelle buone notizie e non perdere fiducia di fronte a quelle cattive”. Ciononostante, vi è comunque “contentezza” per l’accordo, che ha permesso come primo risultato “la riapertura del valico di frontiera con l’ingresso di combustibile. Questo - conferma p. Romanelli - garantirà più ore di elettricità, internet, ventilatori e frigoriferi. Inoltre hanno esteso di 15 miglia il permesso di pesca, anche se non so come potrà concretizzarsi vista la situazione di blocco e lockdown imposto dalle autorità per bloccare la diffusione del virus”.
Nella tarda serata di ieri il gruppo radicale palestinese Hamas, che governa la Striscia dal 2007, e Israele hanno raggiunto un accordo con la mediazione del Qatar, per mettere fine a settimane di violenze al confine. Dal 6 agosto scorso Israele ha bombardato quasi ogni giorno Gaza, in risposta al lancio di palloncini incendiari verso il proprio territorio che avrebbero causato oltre 400 incendi nelle aree coltivate del sud. Le tensioni si erano intensificate nell’ultimo periodo, in seguito all’annuncio dell’accordo fra il governo israeliano le autorità degli Emirati Arabi Uniti (Eau), con la promessa - a breve - di avviare relazioni diplomatiche ufficiali. La leadership palestinese - in questo frangente Hamas e Fatah hanno mostrato una inusuale unità di intenti - ha condannato senza mezzi termini il patto, definendolo una “pugnalata nella schiena”.
A metà agosto Israele aveva interrotto le forniture di gasolio verso la Striscia, causando il blocco dell’unica centrale elettrica e lasciando i 2,2 milioni di abitanti con sole quattro ore di elettricità al giorno. Un provvedimento che ha aggravato una situazione già precaria a causa dell’embargo in atto dal 2007, per i numerosi conflitti fra i due fronti e per la pandemia di Covid-19 che negli ultimi giorni ha superato anche il blocco dando luogo a focolai interni.
Una diffusione del virus preoccupa per le condizioni critiche nell’area, spesso definita una “prigione a cielo aperto”, e per la mancanza di cure mediche e attrezzature. “In questa settimana - racconta p. Romanelli - i casi si sono moltiplicati. Da qui l’introduzione del coprifuoco dalle 8 di sera alle 8 del mattino, lo spostamento è consentito solo a quanti hanno il permesso del ministero degli Interni o della Sanità”. Le autorità hanno diviso la Striscia in sezioni e la stessa Gaza in blocchi, due quartieri “risultano al momento isolati. Tutte le attività sono chiuse, funzionano solo i servizi di emergenza e i negozi che forniscono beni di prima necessità, come cibo e medicine”. La gente, aggiunge, “rispetta il lockdown anche se fa molto caldo, quasi 31 gradi al mattino, ed è difficile rimanere chiusi all’interno di case affollate”.
L’accordo fra Israele e Hamas, in questo contesto, è “una cura palliativa, che non risolve il problema alla radice e non garantisce una vera guarigione. Certo, può servire a migliorare la situazione ma solo pace e giustizia generano rimedi duraturi”. Intanto l’embargo imposto da Israele continua e colpisce a tutti i livelli: “Da sei mesi - conclude il parroco di Gaza - non riusciamo a far entrare un carico di ostie, che è solo pane. Ci abbiamo provato con la Croce Rossa e le Nazioni Unite, senza mai riuscirci. Ora che si stava aprendo uno spiraglio, è arrivata l’emergenza Covid-19. Immaginate quanto possa essere difficile far entrare cibo, medicine o altro. Questo embargo resta la principale emergenza… magari finisse”.
29/12/2020 09:00