Papua Nuova Guinea: 'Quando Francesco ci ha costretto a portarlo a Vanimo'
Il ricordo di p. Giorgio Licini, missionario del Pime, che lo ha accompagnato nel viaggio dello scorso anno in un'estrema frontiera missionaria: "La lezione di Francesco è stata di guardarci dentro, noi, prima di rimproverare gli atei, i media o la civiltà tecnologica. Perché un pellegrino non ha un programma, ma una meta".
Port Moresby (AsiaNews) - Papa Francesco lo sapeva che per il viaggio in Papua Nuova Guinea eravamo piuttosto contrari alla visita a Vanimo. Troppo remota la località e troppo impegnativi i problemi logistici per noi e per il governo. Già nella prima ipotesi di viaggio nel 2020, rinviato a causa della pandemia di Covid-19, gli era stata “imposta” l’alternativa di Rabaul come seconda tappa dopo la capitale Port Moresby. Nel 2024, invece, lui stesso ha dato istruzione ai collaboratori di non ascoltare nessuno e organizzare per Vanimo. Aveva i suoi motivi da vescovo e da pastore: ritrovare in terra di missione un’amicizia e una sintonia spirituale mai raggiunta in patria. Con chi? Un gruppo di connazionali, sacerdoti e religiosi, generalmente definiti “conservatori”, percepiti come lontani e persino problematici da Bergoglio a Buenos Aires, ma eccellenti sul campo di lavoro in Oceania.
Pare una conferma del percorso personale ed ecclesiale di Francesco. La radicalizzazione ideologica nella società, ma anche nelle parrocchie e nei conventi, la semplificazione destra-sinistra, progressisti e conservatori, il Papa defunto l’ha vissuta sin da giovane nell’Argentina dei generali e dei gesuiti a loro volta divisi. Ora, dopo oltre mezzo secolo di contrapposizioni e di lotte, di rabbia e di perdite, che cosa conta veramente per la Chiesa? Continuare a sottolineare il già detto e acquisito, i dogmi e i principi, la propria personale inclinazione verso la destra o la sinistra? O meglio camminare, con le stesse verità e immutati principi, con credenti e non credenti, dalla mente confusa e il cuore indurito, verso la conversione personale e comunitaria? Dio ha fatto incontrare a Francesco, l’ultimo giorno del suo ministero, un leader politico americano di cui detestava certamente molte posizioni e la folla di Pasqua allo stesso tempo gioiosa e in qualche misura disperata per quanto credente.
Papa Giovanni sessant’anni fa lasciò un Concilio da concludere. Papa Francesco ha chiuso il suo Sinodo sulla Sinodalità (Comunione, Partecipazione e Missione) per una Chiesa più aperta, sincera e generosa. Ne lascia al successore la realizzazione. Si sarebbe dovuta verificare dopo papa Giovanni, ma le incrostazioni storiche, i personalismi, le chiusure mentali, i cuori induriti, le defezioni, la presunzione, l’hanno impedita, trasformando la speranza di una primavera per la Chiesa in un inverno gelido almeno in Occidente. Al riguardo, si dirà anche della secolarizzazione, dell’invidualismo e di altri mali veri o presunti. Ma la lezione di Francesco è stata di guardarci dentro, noi, prima di rimproverare gli atei, i media o la civiltà tecnologica. Forse lui aveva dovuto farlo per primo, o tra i primi, a un certo punto della vita, anche verso se stesso. Poi l’ha insegnato a chiunque volesse imparare. Un pellegrino non ha un programma, ma una meta. È quello che ha mostrato Francesco a Vanimo (e altrove), con le parole e coi gesti.
* missionario del Pime a Port Moresby, responsabile advocacy di Caritas Papua Nuova Guinea