Papi santi: per molti libanesi Giovanni Paolo II dovrebbe essere il loro "secondo patrono"
Città del Vaticano (AsiaNews) - Sono diverse migliaia i libanesi venuti a Roma per partecipare alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Con loro il presidente della Repubblica Michel Sleiman e il patriarca maronita Béchara Raï.
Per i libanesi a essere più "vicino" è Giovanni Paolo II, che hanno conosciuto di persona in occasione della sua visita nel Paese, nel 1997. E non va dimenticato che il patriarca Béchara Raï è stato il coordinatore del Sinodo speciale per il Libano, celebrato nel 1995, e, per questo, ha potuto lavorare con l'équipe del papa polacco e avvicinarlo.
Se, tra i fedeli venuti a Roma, sono numerosi i giovani e i pensionati, non mancano alcune coppie sposate, malgrado il costo elevato del viaggio e il previsto affollamento.
Da Amchit (Jbeil) sono venuti Tony Sacre, dirigente di impresa, e sua moglie Amal: erano fidanzati quando Giovanni Paolo II venne in Libano, nel 1997. Sposatisi quell'anno, hanno oggi quattro figli, che li accompagnano nel pellegrinaggio. Nella loro memoria è sempre vivo il ricordo della visita e della messa all'aperto, di fronte al mare, che riunì la metà dei cristiani libanesi. Tony dice di essere a Roma con la sua sposa nello spirito dell'ospitalità libanese: rendono a Giovanni Paolo II la visita che hanno ricevuto.
E' un po' il caso anche di Hanna, impiegato al Casinò del Libano, a Roma con la moglie Liliane e il figlio Jean-Marc. Anche il loro matrimonio è sotto il segno della visita del 1997.
Le due coppie e i loro figlioli fanno parte di un gruppo di una quarantina di pellegrini venuti per la canonizzazione. Come loro, molte altre decine di gruppi, aspettando domenica girano per le vie di Roma e i santuari che la circondano.
Carmen Zogheib, presidente del Movimento della donna araba, membro dell'Ufficio pastorale della donna a Bkerke, è sempre emozionata. L'emozione che la colma da ieri sera, quando si è recata sulla tomba di Giovanni Paolo II, posta vicino all'ingresso della Basilica vaticana, le ha impedito di dormire. Stamattina è ancora immersa in uno stato di grazia. Ne è convinta, Giovanni Paolo II è "un santo libanese". "Come Charbel e Rafqa", precisa. Lei, come molti altri pellegrini pensano che il Libano lo dovrebbe scegliere come "secondo patrono", dopo la Vergine.
Come Carmen, una delle sue amiche, Maguy Bassil, si è commossa fino alle lacrime. "Non ho mai pianto tanto", confida, mentre prosegue la novena della Divina misericordia, che ha iniziato Venerdì santo. "Sono qui prima di tutto per ringraziare - dice - e poi per chiedere. La mia lista è lunga".
Padre Robert Daccache, che guida il gruppo, si era ripromesso di assistere alla cerimonia di canonizzazione fin da quando Giovanni Paolo II è stato beatificato. Ama Giovanni Paolo II "da sempre". E' direttore della scuola Saint-Jean a Aqaïbé (Kesrouan). Era presente, il 10 maggio 1997 alla veglia di preghiera dei giovani libanesi svoltasi a Harissa, nel corso della quale il Papa firmò la sua esortazione apostolica "Una speranza per il Libano".
Come molti, padre Daccache si identifica volentieri con quella che si chiama "la generazione di Giovanni Paolo II"; frutto della preghiera per una "nuova Pentecoste" elevata da Giovanni XXIII all'apertura del Concilio Vaticano II, nel 1962. La fioritura di numerosi gruppi di preghiera e di nuove comunità cristiane, dopo il Concilio, era state percepite come una risposta a quella preghiera. Giovanni Paolo II ne coglierà i frutti sotto la forma della Giornata mondiale della gioventù, lanciata all'inizio degli anni '90.
Il Sinodo patriarcale maronita del 2005 aveva chiesto che non "si spenga lo Spirito" che abita in quei movimenti, alcuni dei quali, al loro apparire, aveva a volte sollevato la diffidenza di una parte del clero maronita.