Papa: proteggere i bambini dallo sfruttamento, che li priva della loro infanzia
Appello di Francesco in vista della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Nel momento della vita nel quale ci sentiremo veramente soli, “in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita, ci cambierà il cuore, e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio, Lui sa come fare, Lui ci conosce”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Si faccia “ogni sforzo” per proteggere i minori dallo sfruttamento “che priva i bambini e le bambine della loro infanzia e che ne mette a repentaglio lo sviluppo integrale”. E’ l’appello lanciato da papa Francesco in vista della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, che si celebra venerdì prossimo, 12 giugno.
Nell’appello, giunto al termine dell’udienza generale, Francesco ha sottolineato che “nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, in diversi Paesi molti bambini e ragazzi sono costretti a lavori inadeguati alla loro età, per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà. In non pochi casi si tratta di forme di schiavitù e di reclusione, con conseguenti sofferenze fisiche e psicologiche. Tutti noi siamo responsabili di questo. Faccio appello alle istituzioni affinché pongano in essere ogni sforzo per proteggere i minori, colmando le lacune economiche e sociali che stanno alla base della dinamica distorta nella quale essi sono purtroppo coinvolti. I bambini sono il futuro della famiglia umana: a tutti noi spetta il compito di favorirne la crescita, la salute e la serenità! “.
In precedenza, nella catechesi per l’udienza, tenuta anche oggi nella Biblioteca del Palazzo apostolico, continuando il ciclo sulla preghiera, ha parlato della “Preghiera di Giacobbe”’ (Gen 32,25-30).
Di Giacobbe “un uomo che aveva fatto della scaltrezza la sua dote migliore”, il Papa ha ricordato il “difficile rapporto” con il fratello Esaù e la “lunga serie di astuzie di cui questo uomo spregiudicato è capace”. “Giacobbe – diremmo con linguaggio moderno – è un uomo che ‘si è fatto da solo’, con l’ingegno, la scaltrezza riesce a conquistare tutto ciò che desidera. Gli manca qualcosa, il rapporto vivo con le radici. Un giorno sente il richiamo di casa, della sua antica patria”. Nel viaggio verso casa, arrivato all’ultima tappa, al torrente Jabbok, rimasto solo, “all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui. Il Catechismo spiega: «La tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza» (CCC, 2573). Giacobbe lottò per tutta la notte, senza mai lasciare la presa del suo avversario. Alla fine viene vinto, colpito dal suo rivale al nervo sciatico, e da allora sarà zoppo per tutta la vita. Quel misterioso lottatore chiede il nome al patriarca e gli dice: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele”. “gli cambia il nome, gli cambia atteggiamento, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» (v. 29). Allora anche Giacobbe chiede all’altro: «Svelami il tuo nome». Quello non glielo rivela, ma in compenso lo benedice. E Giacobbe capisce di aver incontrato Dio «faccia a faccia» (cfr vv. 30-31)”.
“Lottare con Dio: una metafora della preghiera. Altre volte Giacobbe si era mostrato capace di dialogare con Dio, di sentirlo come presenza amica e vicina. Ma in quella notte, attraverso una lotta che si protrae a lungo e che lo vede quasi soccombere, il patriarca esce cambiato. Cambiare il nome, il modo di vivere, la personalità. Per una volta non è più padrone della situazione, non è più l’uomo stratega e calcolatore; Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e che ha paura. Perché nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza e anche i suoi peccati. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo”.
“Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio”. “Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini. Mi permetto di dire poveracci. Ma, proprio allora, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita, ci cambierà il cuore, e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui. Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio, Lui sa come fare, Lui ci conosce”.