Papa: non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’e riforma della propria vita
All’udienza generale Benedetto XVI illustra la figura di san Roberto Bellarmino, “Dottore della Chiesa”, autore del notissimo Catechismo. Prima di recarsi in aula il Papa ha benedetto una statua di san Marone, collocata in una nicchia esterna della basilica di San Pietro, presenti il cardinale Nasrallah Sfeir, patriarca della maroniti e il presidente libanese Michel Suleiman. Una preghiera per i terremotati di Chrischurch in Nuova Zelanda.
Città del Vaticano (AsiaNews) - “Non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’e riforma della propria vita e e la conversione del nostro cuore”: lo insegna “con grande chiarezza e con l’esempio della propria vita” san Roberto Bellarmino, il “dottore della Chiesa” la figura del quale Benedetto XVI ha illustrato oggi alle ottomila persone presenti all’udienza generale.
Gli scritti e gli insegnamento del grande teologo gesuita vissuto a cavallo tra il XVI e XVI secolo, autore del notissimo Catechismo, sono “da meditare a lungo perché ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore Dio, rivelato in Gesù Cristo, che continua a chiamarci e prometterci la comunione con Lui. Ci ricordano l’importanza di confidare nel Signore, di illuminare con la preghiera ogni circostanza della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui”.
Roberto Bellarmino, ha ricordato il Papa, nacque in Toscana, a Montepulciano il 4 ottobre 1542. Egli era nipote, per parte di madre, di papa Marcello II. Ebbe un’eccellente formazione umanistica prima di entrare nella Compagnia di Gesù il 20 settembre 1560. Gli studi di filosofia e teologia, che compì tra il Collegio Romano, Padova e Lovanio. Ordinato sacerdote il 25 marzo 1570, fu per alcuni anni professore di teologia a Lovanio. Successivamente, chiamato a Roma come professore al Collegio Romano, gli fu affidata la cattedra di “Apologetica”; nel decennio in cui ricoprì tale incarico (1576 – 1586) elaborò un corso di lezioni che confluirono poi nelle “Controversiae”, “opera divenuta subito celebre per la chiarezza e la ricchezza di contenuti e per il taglio prevalentemente storico”.
Esse sono “un punto di riferimento ancora valido per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la rivelazione, la natura della Chiesa, i sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo mistico”. Nella sua opera Bellarmino “evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica”. Si era infatti concluso da poco il Concilio di Trento e per la Chiesa Cattolica era necessario “rinsaldare e confermare la propria identità anche rispetto alla Riforma protestante”. L’azione del Bellarmino è legata a questo contesto.
Clemente VIII lo nominò teologo pontificio, consultore del Sant’Uffizio e rettore del Collegio dei Penitenzieri della Basilica di san Pietro. Al biennio 1597 – 1598 risale il suo catechismo, Dottrina cristiana breve, che fu il suo lavoro più popolare.
Il 3 marzo 1599 fu creato cardinale dal Papa Clemente VIII e, il 18 marzo 1602, fu nominato arcivescovo di Capua. Nei tre anni in cui fu vescovo diocesano, “si distinse per lo zelo di predicatore nella sua cattedrale, per la visita che realizzava settimanalmente alle parrocchie, per i tre Sinodi diocesani e un Concilio provinciale cui diede vita”.
Richiamato a Roma, fu membro delle Congregazioni del Sant’Uffizio, dell’Indice, dei Riti, dei Vescovi e della Propagazione della Fede. Ebbe anche incarichi diplomatici, presso la Repubblica di Venezia e l’Inghilterra, a difesa dei diritti della Sede Apostolica. Nei suoi ultimi anni compose vari libri di spiritualità, nei quali condensò il frutto dei suoi esercizi spirituali annuali, secondo la tradizione di sant’Ignazio. “Dalla lettura di essi il popolo cristiano trae ancora oggi grande edificazione”.
Morì a Roma il 17 settembre 1621. Il Papa Pio XI lo beatificò nel 1923, lo canonizzò nel 1930 e lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1931.
Negli scritti di Bellarmino, “si avverte in modo molto chiaro, pur nella riservatezza dietro la quale cela i suoi sentimenti, il primato che egli assegna agli insegnamenti del Signore”. San Bellarmino “offre un modello di preghiera, anima di ogni attività: una preghiera che ascolta la Parola del Signore, che è appagata nel contemplarne la grandezza, che non si ripiega su se stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio”. Segno distintivo della sua spiritualità è “la percezione viva e personale dell’immensa bontà di Dio”: per lui “era fonte di grande gioia raccogliersi, con serenità e semplicità, in preghiera, in contemplazione di Dio”.
Nel corso dell’udienza, rivolgendosi ai presenti di lingua inglese, Benedetto XVI ha ricordato il terremoto che ha devastato Christchurch, in Nuova Zelanda, invitando a pregare per le vittime e invocando il sostegno ai soccorritori.
Prima di recarsi nell’aula delle udienze, il Papa si era fermato per benedire una statua di san Marone, collocata in una nicchia esterna della Basilica di San Pietro. Erano presenti il cardinale Nasrallah Sfeir, patriarca della maroniti, il presidente libanese Michel Suleiman - che domani sarà ricevuto in udienza - e un gruppo di ministri libanesi di tutte le confessioni.
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