04/06/2008, 00.00
VATICANO
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Papa: la vera grandezza è nel servizio agli altri

Benedetto XVI ilustrando ancora al figura di papa Gregorio Magno, sottolinea il senso dell’appellativo che egli coniò di “servus servorum Dei”. L’auspicio che il Concilio Vaticano II “porti frutti in noi e nella Chiesa del terzo millennio”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La vera gandezza è nel servizio e nell’umiltà, come ci mostrano la vita e l’esempio di San Gregorio Magno, che si disse “Servus servorum Dei”, servo dei servi di Dio, che per lui “non è una formula, ma una espressione del suo modo di vivere e agire”. Il grande papa del VI secolo è stato nuovamente proposto da Benedetto XVI ai 15mila partecipanti all’udienza generale, ai quali, oggi, ha indicato i fondamenti dell’insegnamento di un santo che, “colpito dall’umiltà di Dio che in Cristo si è fatto nostro servo, ha lavato i nostri piedi”, “si è fatto servo dei servi e proprio per questo è stato grande e ci mostra la figura della vera grandezza”. E’ un modello che, nelle odierne parole del Papa, riguarda in particolar modo il papa e il vescovo, che “dovrebbe farsi seguace di questo esempio, per amore di Dio”.
 
Dopo che la settimana scorsa aveva tratteggiato i dati biografici del grande papa, Benedetto XVI ne ha oggi illustrato il pensiero, quale si desume dalle opere – 800 lettere e numerosi scritti, in particolare la Regola pastorale - e dalla vita.
 
“Appassionato lettore della Bibbia, da cui il cristiano deve trarre non tanto conoscenza teorica ma nutrmento quotidiano per la sua vita su questo mondo” Gregorio Magno non appare mai preoccupato di indicare una sua dottrina, ma l’insegnamento della Chiesa “anzitutto nel cammino che occore percorrere per giungere a Dio”.
 
Illustrandone l’opera, Benedetto XVI ne ha sottolineato l’atteggiamento di umiltà intellettuale, “regola primaria” per chi cerca di penetrare la Scrittura, ma che “non vuol dire mancanza di studi seri”. Essa “resta indispensabile, solo con umiltà intellettuale si ascolta, si percepisce finalmente la parola di Dio”, è “'la regola primaria per penetrare le realtà sovrannaturali”. Ma “non è nulla se la contemplazione non conduce all’azione”. Questa convinzione è espressa in alcuni suoi binomi rimasti celebri, come “sapere-fare, parlare-vivere, conoscere-agire”, “aspetti della vita umana che dovrebbbero essere complementari, ma che spesso sono antitetici”.
 
Dopo aver sottolineato l’atteggiamento di non “superficialità” con la quale va accolto il mandato, il Papa ha affermato che “il vescovo è innanzi tutto il predicatore per eccellenza” e che “come tale deve essere esempio agli altri con il suo comportamento”.  C’è poi “un dovere che il pastore ha di riconoscere ogni giorno la sua miseria in modo che l’orgoglio non renda vano di fronte al Giudice supremo il bene fatto”. “Invece di considerare il bene compiuto bisogna pensare a quello che si è trascurato”, si legge nella sua Regola.
 
Il Papa ha infine espresso l’auspicio che il Concilio Vaticano II “porti frutti in noi e nella Chiesa del terzo millennio”: rivolgendosi ai polacchi presenti all’udienza e prendendo spunto dal 45mo anniversario dalla morte di Giovanni XXIII. “Veniva chiamato dalla gente – ha detto - Giovanni il buono, oppure il buon papa Giovanni, Era stato lui a convocare il Concilio Vaticano II, il quale iniziò il rinnovamento della Chiesa, la riforma delle sue strutture e l'aggiornamento della liturgia”, “Che questa riforma - ha concluso - porti frutti in noi e nella Chiesa del terzo millennio”.
 
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