Papa: la speranza cristiana “non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa”
“Ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi”. “Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti, quindi, non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La speranza cristiana “non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa”. Continuando nelle catechesi dedicate alla speranza, papa Francesco che nelle settimane scorse aveva parlato della speranza nell’Antico Testamento, oggi l’ha illustrata alla luce del Nuovo, incentrando la sua meditazione sul tema: L’elmo della speranza (1Ts 5,4-11).
Alle settemila persone presenti nell’aula Paolo VI, in Vaticano, Francesco ha voluto mettere in luce “la portata straordinaria che questa virtù viene ad assumere nel Nuovo Testamento, quando incontra la novità rappresentata da Gesù Cristo e dall’evento pasquale la speranza cristiana. Noi cristiani, siamo donne e uomini di speranza”.
Così era la comunità di Tessalonica alla quale scrive san Paolo. “Quando Paolo le scrive, la comunità di Tessalonica è appena stata fondata, e solo pochi anni la separano dalla Pasqua di Cristo; pochi anni dopo, eh! Per questo, l’Apostolo cerca di far comprendere tutti gli effetti e le conseguenze che questo evento unico e decisivo, cioè la risurrezione del Signore, comporta per la storia e per la vita di ciascuno. In particolare, la difficoltà della comunità non era tanto di riconoscere la risurrezione di Gesù, tutti ci credevano, ma di credere nella risurrezione dei morti. In tal senso, questa lettera si rivela quanto mai attuale. Ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: «Ma davvero ci sarà la vita dopo la morte…? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato…?». Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza: ‘Incontrerò i miei?’. Un dubbio … Anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù e cosa significa la nostra morte. Tutti abbiamo un po’ di paura della morte, per questa incertezza, no? Qui viene la parola di Paolo. Mi viene alla memoria un vecchietto, un anziano, bravo, che diceva: ‘Io non ho paura della morte. Ho un po’ di paura di vederla venire’. Aveva paura di questo”.
“Paolo, di fronte ai timori e alle perplessità della comunità, invita a tenere salda sul capo come un elmo, soprattutto nelle prove e nei momenti più difficili della nostra vita, «la speranza della salvezza». È un elmo. Ecco cos’è la speranza cristiana. Quando si parla di speranza, possiamo essere portati ad intenderla secondo l’accezione comune del termine, vale a dire in riferimento a qualcosa di bello che desideriamo, ma che può realizzarsi oppure no. Speriamo che succeda, ma … speriamo, come un desiderio, no? Si dice per esempio: «Spero che domani faccia bel tempo!»; ma sappiamo che il giorno dopo può fare invece brutto tempo… La speranza cristiana non è così. La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto”. “C’è la porta lì, e io spero di arrivare alla porta! Che cosa devo fare? Camminare verso la porta! Sono sicuro che arriverò alla porta. Così è la speranza cristiana. La speranza cristiana è l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi. Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti, quindi, non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa. Imparare a vivere nell’attesa e trovare la vita. Quando una donna si accorge di essere incinta, ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà … Anche noi dobbiamo vivere e imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di trovare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa. Sperare implica un cuore umile, un cuore povero. Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”.
“Scrive ancora san Paolo: «Egli [Gesù] è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui» (1 Ts 5,10). Queste parole sono sempre motivo di grande consolazione e di pace. Anche per le persone amate che ci hanno lasciato siamo dunque chiamati a pregare perché vivano in Cristo e siano in piena comunione con noi. Una cosa che a me tocca tanto il cuore è un’espressione di san Paolo, sempre rivolta ai Tessalonicesi. A me riempie della sicurezza della speranza. Dice così: «E così per sempre saremo con il Signore» (1 Ts 4,17). Cosa bella … Tutto passa. Ma, dopo la morte, per sempre saremo con il Signore. È la certezza totale della speranza, la stessa che, molto tempo prima, faceva esclamare a Giobbe: «Io so che il mio redentore è vivo […]. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno» (Gb 19,25.27)”. “E così per sempre saremo con il Signore. Voi credete questo? Vi domando: credete questo? (“Sì”). Più o meno, eh! Ma per avere un po’ di forza vi invito a dirlo tre volte con me: ‘E così per sempre saremo con il Signore’. Tutti insieme: ‘E così, per sempre, saremo con il Signore’, ‘E così, per sempre, saremo con il Signore’, ‘E così, per sempre, saremo con il Signore’. E là, con il Signore, ci incontreremo”.
Al momento dei saluti, il Papa ha rivolto, tra l’altro, “un cordiale benvenuto alla delegazione del Movimento Cattolico Mondiale per il clima e li ringrazio per l’impegno a curare la nostra casa comune in questi tempi di grave crisi socio-ambientale. Incoraggio a continuare a tessere le reti affinché le chiese locali rispondano con determinazione al grido della terra e al grido dei poveri”.