13/02/2019, 10.46
VATICANO
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Papa: la preghiera è cristiana se è preghiera di una comunità fraterna

“C’è un’assenza impressionante nel testo del ‘Padre nostro’. Manca una parola che ai nostri tempi – ma forse sempre – tutti tengono in grande considerazione: manca la parola ‘io’”. E “tutta la seconda parte del ‘Padre nostro’ è declinata alla prima persona plurale: noi”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Se non è aperta “al grido di tante persone vicine e lontane” la mia preghiera “non è più una preghiera cristiana”, perché “nella preghiera, un cristiano porta tutte le difficoltà delle persone che gli vivono accanto”, e “non c’è spazio per l’individualismo nel dialogo con Dio”. La preghiera cristiana come preghiera di una comunità fraterna è uno degli aspetti fondamentali del “Padre Nostro” illustrato oggi da papa Francesco nella catechesi per l’udienza generale. “Ricordiamoci che davanti al Padre siamo sempre in comunione con i nostri fratelli e sorelle”, ha detto nel saluto ai tedeschi.

Alle settemila persone presenti nell’Aula delle udienza, tra le quali 11 seminaristi provenienti da Hong Kong, Francesco, riprendendo il ciclo di catechesi sul ‘Padre Nostro’, ha incentra la sua meditazione su Padre di tutti noi.

Nella preghiera, ha sottolineato, “Gesù non vuole ipocrisia. La vera preghiera è quella che si compie nel segreto della coscienza, del cuore: imperscrutabile, visibile solo a Dio. Essa rifugge dalla falsità: con Dio è impossibile fingere”. “Alla sua radice c’è un dialogo silenzioso, come l’incrocio di sguardi tra due persone che si amano: l’uomo e Dio”. “Eppure, nonostante la preghiera del discepolo sia tutta confidenziale, non scade mai nell’intimismo. Nel segreto della coscienza, il cristiano non lascia il mondo fuori dalla porta della sua camera, ma porta nel cuore le persone e le situazioni”.

“C’è un’assenza impressionante nel testo del ‘Padre nostro’. Manca una parola che ai nostri tempi – ma forse sempre – tutti tengono in grande considerazione: manca la parola ‘io’. Gesù insegna a pregare avendo sulle labbra anzitutto il ‘Tu’, perché la preghiera cristiana è dialogo: ‘sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà’. E poi passa al ‘noi’. Tutta la seconda parte del ‘Padre nostro’ è declinata alla prima persona plurale: ‘dacci il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, non abbandonarci alla tentazione, liberaci dal male’. Perfino le domande più elementari dell’uomo – come quella di avere del cibo per spegnere la fame – sono tutte al plurale. Nella preghiera cristiana, nessuno chiede il pane per sé: lo supplica per tutti i poveri del mondo”.

“Non c’è spazio per l’individualismo nel dialogo con Dio. Non c’è ostentazione dei propri problemi come se noi fossimo gli unici al mondo a soffrire. Non c’è preghiera elevata a Dio che non sia la preghiera di una comunità di fratelli e sorelle. Non c’è preghiera elevata a Dio che non sia la preghiera di una comunità di fratelli e sorelle, il noi: siamo in comunità, siamo fratelli e sorelle, siamo un popolo che prega, noi. Una volta il cappellano di un carcere mi ha fatto una domanda: ‘Mi dica, padre, qual è la domanda contraria a ‘io’?’. E io, ingenuo, ho detto: ‘Tu’. ‘Quello è l’inizio della guerra. La parola opposta a ‘io’ è ‘noi’, dove c’è la pace, tutti insieme’. E’ un bell’insegnamento che ho ricevuto da quel prete”.

“Nella preghiera, un cristiano porta tutte le difficoltà delle persone che gli vivono accanto: quando scende la sera, racconta a Dio i dolori che ha incrociato in quel giorno; pone davanti a Lui tanti volti, amici e anche ostili; non li scaccia come distrazioni pericolose. Se uno non si accorge che attorno a sé c’è tanta gente che soffre, se non si impietosisce per le lacrime dei poveri, se è assuefatto a tutto, allora significa che il suo cuore è di pietra. In questo caso è bene supplicare il Signore che ci tocchi con il suo Spirito e intenerisca il nostro cuore. Il Cristo non è passato indenne accanto alle miserie del mondo: ogni volta che percepiva una solitudine, un dolore del corpo o dello spirito, provava un senso forte di compassione, come le viscere di una madre. Questo ‘sentire compassione’ è uno dei verbi-chiave del Vangelo: è ciò che spinge il buon samaritano ad avvicinarsi all’uomo ferito sul bordo della strada, al contrario degli altri che hanno il cuore duro”.

“Ci possiamo chiedere: quando prego, mi apro al grido di tante persone vicine e lontane? Oppure penso alla preghiera come a una specie di anestesia, per poter stare più tranquillo? In questo caso sarei vittima di un terribile equivoco. Certo, la mia non sarebbe più una preghiera cristiana. Perché quel ‘noi’, che Gesù ci ha insegnato, mi impedisce di stare in pace da solo, e mi fa sentire responsabile dei miei fratelli e sorelle”.

“Santi e peccatori – ha detto ancora - siamo tutti fratelli amati dallo stesso Padre. E, alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore. Non un amore solo sentimentale, ma compassionevole e concreto, secondo la regola evangelica: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così dice il Signore”.

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