Papa: l’Anno sacerdotale ha portato e porterà “frutti preziosi”
All’udienza generale, Benedetto XVI illustra la figura di san Giuseppe Cafasso, modello di prete che è un richiamo “ai sacerdoti per l’impegno da dedicare tempo al sacramento della riconciliazione e alla direzione spirituale e a tutti per l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - L’Anno sacerdotale appena terminato è stato “un tempo di grazia che ha portato e porterà frutti preziosi” e un’occasione “per ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno seguito questa vocazione”. A loro e a tutti i cattolici, oggi, Benedetto XVI ha proposto l’esempio di una figura esemplare di sacerdote. san Giuseppe Cafasso, definito un richiamo “ai sacerdoti per l’impegno da dedicare tempo al sacramento della riconciliazione e alla direzione spirituale e a tutti per l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi”.
E’, ha detto il Papa alle 25mila persone presenti in piazza san Pietro per l’udienza generale, “una figura che spicca tra i santi sociali piemontesi” e del quale si celebra il 150mo anniversario della morte.
Giuseppe Cafasso nasce nel 1811 a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese di san Giovanni Bosco. “nel Piemonte ottocentesco caratterizzato da tanti problemi sociali, ma anche da tanti santi che si dedicavano a risolverli”. A 22 anni viene ordinato sacerdote ed entra in quello che resterà il luogo della sua vita: il Convitto ecclesiastico di san Francesco d’Assisi a Torino.
Il Convitto “era anche una vera scuola di formazione sacerdotale” e “il tipo di prete era quello del vero pastore, con una ricca vita interiore e un profonfo zelo nella vita pastorale”. “Nel convitto si imparava a essere preti” e Cafasso cercò di realizzarlo in modo che i sacerdoti diventasero a loro volta formatori di religiosi e laici, “preoccupati del bene spirituale della persona”.
San Giuseppe Cafasso “mise a frutto le sue doti di direttore spirituale” mostrando “tre virtu: calma, accortezza e prudenza”.
“Dedicava alla confessione molte ore della giornata”. Al suo confessionale accorrevano vescovi, laici insigni e gente comune. “Il suo insegnamento non era mai astratto, basato solo sui libri in uso nel suo tempo, ma sull’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano”. “Il suo segreto era semplice, essere un vero uomo di Dio. Amava in modo totale il Signore”, “viveva una sincera carità verso tutti”, “conosceva la teologia morale, ma anche le situazioni della gente”.
Tra coloro che furono formati da lui emerge san Giovanni Bosco, che lo ebbe direttore spirituale per ben 25 anni. “Tutte le scelte fondamentali della vita di san Giovanni Bosco ebbero come consigliere e guida Cafasso, che non cercò mai di formare in san Giovanni Bosco un dscepolo a sua immagine e somiglianza, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione, segno della saggezza del maestro e dell’intelligenza del discepolo”. “Questo – ha commentato il Papa - è un insegnamento prezioso per tutti coloro che sono impegnati nella formazione delle giovani generazioni e un richiamo su quanto è importante avere una guida spirituale che aiuti a capire quanto Dio vuole da noi”.
Altro elemento caratterizzante l’opera di di san Giuseppe Cafasso è “l’attenzione agli umili e in particolare ai carcerati che nella Torino dell’ottocento vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti”. “Fu il buon pastore comprensivo e caritatevole”. “I detenuti ne erano conquistati, la sua presenza rasserenava, toccava i cuori induriti”. “I condannati a morte furono oggetto di particolari cure umane e spirituali”. Ne accompagnò 57 “con profondo amore e con rispetto fino alla fine della loro esistenza terrena”.
Per questa sua opera, nel 1948 “Pio XII lo proclamò patrono delle carceri italane e nel 1950 lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella confessione e nella direzione spirituale”.
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