Papa: alla Curia, in spirito di servizio superare complotti e pericolo traditori
Nel tradizionale incontro per lo scambio degli auguri natalizi, Francesco torna a denunciare “piccole cerchie” e “autoreferenzialità”. E persone che “quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il ‘mea culpa’”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La Curia romana è e deve essere “di servizio” al ministero del papa e quindi alla Chiesa universale, in una logica “diaconale”. Vanno quindi superati la “squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie”, che “porta all’autoreferenzialità” e il “pericolo” rappresentato dai “traditori di fiducia” o dagli “approfittatori della maternità della Chiesa”, persone che “non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità”, “quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il ‘mea culpa’”.
La presentazione degli auguri natalizi tra il Papa e la Curia romana è per Francesco occasione per affermare i principi e i punti essenziali della sua riforma della struttura centrale della Santa Sede (in particolare nel 2016) o per indicare le “malattie” delle quali soffrono alcuni che vi prestano servizio (in particolare nel 2014).
Quest’anno, “desidero condividere con voi alcune riflessioni sulla realtà della Curia ad extra, ossia il rapporto della Curia con le nazioni, con le Chiese particolari, con le Chiese Orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’Islam e le altre religioni, cioè con il mondo esterno”.
Riflessioni, ha soggiunto, che “si basano certamente sui principi basilari e canonici della Curia, sulla stessa storia della Curia, ma anche sulla visione personale che ho cercato di condividere con voi nei discorsi degli ultimi anni, nel contesto dell’attuale riforma in corso”. Riforma difficile “in quanto la Curia è un’istituzione antica, complessa, venerabile, composta da uomini provenienti da diverse culture, lingue e costruzioni mentali e che, strutturalmente e da sempre, è legata alla funzione primaziale del vescovo di Roma nella Chiesa, ossia all’ufficio ‘sacro’ voluto dallo stesso Cristo Signore per il bene dell’intero corpo della Chiesa, (ad bonum totius corporis)”.
L’universalità del servizio della Curia, dunque, “proviene e scaturisce dalla cattolicità del Ministero petrino” e per questo Francesco ha usato già in passato l’espressione “primato diaconale”, “rimandando subito all’immagine diletta di San Gregorio Magno del Servus servorum Dei. Questa definizione, nella sua dimensione cristologica, è anzitutto espressione della ferma volontà di imitare Cristo, il quale assunse la forma di servo”. “Analogo atteggiamento diaconale deve caratterizzare anche quanti, a vario titolo, operano nell’ambito della Curia romana”.
Il riferimento alla “diaconia ministeriale” ha portato Francesco a ricordare “un antico testo presente nella Didascalia Apostolorum, dove si afferma: il «diacono sia l’orecchio e la bocca del Vescovo, il suo cuore e la sua anima», poiché a questa concordia è legata la comunione, l’armonia e la pace nella Chiesa”. E “Sant’Ignazio di Loyola ha fatto ricorso ai sensi nella contemplazione dei Misteri di Cristo e della verità “.
“Questo è molto importante per superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano – nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni – un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano. Quando questo avviene, però, si perde la gioia del Vangelo, la gioia di comunicare il Cristo e di essere in comunione con Lui; si perde la generosità della nostra consacrazione (cfr At 20,35 e 2 Cor 9,7). Permettetemi qui di spendere due parole su un altro pericolo, ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma – non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità – si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il ‘mea culpa’. Accanto a queste persone ve ne sono poi altre che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene. Questo certamente senza dimenticare la stragrande parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità”.
Il Papa è quindi passato a esaminare “genericamente” l’operato della Curia “ad extra”, cioè verso l’esterno, in quanto esso è “davvero molto ampio”.
La Curia e il rapporto con le Nazioni
“In questo campo gioca un ruolo fondamentale la diplomazia vaticana, che è la ricerca sincera e costante di rendere la Santa Sede un costruttore di ponti, di pace e di dialogo tra le nazioni. Ed essendo una diplomazia al servizio dell’umanità e dell’uomo, della mano tesa e della porta aperta, essa si impegna nell’ascoltare, nel comprendere, nell’aiutare, nel sollevare e nell’intervenire prontamente e rispettosamente in qualsiasi situazione per avvicinare le distanze e per intessere la fiducia. L’unico interesse della diplomazia vaticana è quello di essere libera da qualsiasi interesse mondano o materiale.
La Santa Sede quindi è presente sulla scena mondiale per collaborare con tutte le persone e le nazioni di buona volontà e per ribadire sempre l’importanza di custodire la nostra casa comune da ogni egoismo distruttivo; per affermare che le guerre portano solo morte e distruzione; per attingere dal passato i necessari insegnamenti che ci aiutano a vivere meglio il presente, a costruire solidamente il futuro e a salvaguardarlo per le nuove generazioni”.
La Curia e le Chiese particolari
“Il rapporto che lega la Curia alle diocesi e alle eparchie è di primaria importanza. Esse trovano nella Curia Romana il sostegno e il supporto necessario di cui possono avere bisogno. È un rapporto che si basa sulla collaborazione, sulla fiducia e mai sulla superiorità o sull’avversità”.
“Le visite ad limina Apostolorum, in questo senso, rappresentano una grande opportunità di incontro, di dialogo e reciproco arricchimento. Ecco perché ho preferito, incontrando i vescovi, avere un dialogo di reciproco ascolto, libero, riservato, sincero che va oltre gli schemi protocollari e l’abituale scambio di discorsi e di raccomandazioni. È importante anche il dialogo tra i vescovi e i diversi dicasteri. Quest’anno, riprendendo le visite ad limina, i vescovi mi hanno confidato che sono stati ben accolti e ascoltati da tutti i dicasteri. Questo mi rallegra tanto”.
In questo quadro rientra anche la preparazione alla prossima XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, convocata sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. “Chiamare la curia, i vescovi e tutta la Chiesa a portare una speciale attenzione alle persone dei giovani, non vuol dire guardare soltanto a loro, ma anche mettere a fuoco un tema nodale per un complesso di relazioni e di urgenze: i rapporti intergenerazionali, la famiglia, gli ambiti della pastorale, la vita sociale...”.
La Curia e le Chiese Orientali
“L’unità e la comunione che dominano il rapporto della Chiesa di Roma e le Chiese orientali rappresentano un concreto esempio di ricchezza nella diversità per tutta la Chiesa. Esse, nella fedeltà alle proprie tradizioni bimillenarie e nella ecclesiastica communio, sperimentano e realizzano la preghiera sacerdotale di Cristo (cfr Gv 17).
“Il rapporto tra Roma e l’Oriente è di reciproco arricchimento spirituale e liturgico. In realtà, la Chiesa di Roma non sarebbe davvero cattolica senza le inestimabili ricchezze delle Chiese Orientali e senza la testimonianza eroica di tanti nostri fratelli e sorelle orientali che purificano la Chiesa accettando il martirio e offrendo la loro vita per non negare Cristo”.
La Curia e il dialogo ecumenico
Anche nel “cammino” ecumenico – “un cammino irreversibile e non in retromarcia” - la Curia opera “per favorire l’incontro con il fratello, per sciogliere i nodi delle incomprensioni e delle ostilità, e per contrastare i pregiudizi e la paura dell’altro che hanno impedito di vedere la ricchezza della e nella diversità e la profondità del Mistero di Cristo e della Chiesa che resta sempre più grande di qualsiasi espressione umana. Gli incontri avvenuti con i papi, i patriarchi e i capi delle diverse Chiese e Comunità mi hanno sempre riempito di gioia e di gratitudine.
La Curia e l’Ebraismo, l’Islam, le altre religioni
“Il rapporto della Curia Romana con le altre religioni si basa sull’insegnamento del Concilio Vaticano II e sulla necessità del dialogo. «Perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro». Il dialogo è costruito su tre orientamenti fondamentali: «il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione».
Gli incontri avvenuti con le autorità religiose, nei diversi viaggi apostolici e negli incontri in Vaticano, ne sono la concreta prova”.
11/10/2017 10:39