Papa: Una preghiera in silenzio per i musulmani uccisi nella moschea del Nord Sinai
All’Angelus, papa Francesco esprime “grande dolore” per la strage del 24 novembre in Egitto. “La regalità di Dio: solidale con chi soffre per suscitare dappertutto atteggiamenti e opere di misericordia”. “Quel mendicante, quel bisognoso che tende la mano è Gesù; quell’ammalato, quel carcerato…”. Madre Catalina de María Rodríguez beatificata ieri a Cordoba (Argentina). Stasera Francesco parte per il Myanmar e il Bangladesh.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Quella gente in quel momento pregava. Anche noi in silenzio, preghiamo…”: così papa Francesco ha invitato i circa 20mila pellegrini a rivolgere il pensiero alle vittime della strage avvenuta nella moschea di Al Roda lo scorso 24 novembre nel villaggio di Bir Al-Abd, vicino al capoluogo Al-Arish, nel Nord Sinai.
Il pontefice aveva inviato un telegramma per esprimere condanna per l’attentato e solidarietà a tutto il popolo egiziano. Ai pellegrini radunati in piazza san Pietro per la recita dell’Angelus, invitandoli alla preghiera, il pontefice ha detto: “Cari fratelli e sorelle, ci ha dato grande dolore, venerdì scorso, la notizia della strage avvenuta in una moschea nel nord del Sinai in Egitto. Continuo a pregare per le numerose vittime, per i feriti e per tutta quella comunità, così duramente colpita. Dio ci liberi da queste tragedie e sostenga gli sforzi di tutti coloro che operano per la pace, la concordia e la convivenza”.
In precedenza, papa Francesco si è soffermato a commentare il vangelo della solennità di oggi, Cristo Re dell’universo, che riporta la pagina sul giudizio universale (Matteo 25, 31-46).
“Questa parola – ha detto il papa - non finisce mai di colpirci, perché ci rivela fino a che punto arriva l’amore di Dio: fino al punto di immedesimarsi con noi, ma non quando stiamo bene, quando siamo sani e felici, no, ma quando siamo nel bisogno. E in questo modo nascosto Lui si lascia incontrare, ci tende la mano come mendicante. Così Gesù rivela il criterio decisivo del suo giudizio, cioè l’amore concreto per il prossimo in difficoltà. E così si rivela il potere dell’amore, la regalità di Dio: solidale con chi soffre per suscitare dappertutto atteggiamenti e opere di misericordia”.
“La parabola del giudizio prosegue presentando il re che allontana da sé quelli che durante la loro vita non si sono preoccupati delle necessità dei fratelli. Anche in questo caso costoro rimangono sorpresi e chiedono: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?» (v. 44). Sottinteso: “Se ti avessimo visto, sicuramente ti avremmo aiutato!”. Ma il re risponderà: «Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me» (v. 45). Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore, cioè sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi. Quel mendicante, quel bisognoso che tende la mano è Gesù; quell’ammalato, quel carcerato…”.
“Gesù – ha concluso - verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni, ma viene a noi ogni giorno, in tanti modi, e ci chiede di accoglierlo. La Vergine Maria ci aiuti a incontrarlo e riceverlo nella sua Parola e nell’Eucaristia, e nello stesso tempo nei fratelli e nelle sorelle che soffrono la fame, la malattia, l’oppressione, l’ingiustizia. Possano i nostri cuori accoglierlo nell’oggi della nostra vita, perché siamo da Lui accolti nell’eternità del suo Regno di luce e di pace”.
Dopo la preghiera dell’Angelus e il silenzio per la strage in Egitto, Francesco ha ricordato che Ieri, a Córdoba (Argentina), è stata proclamata beata madre Catalina de María Rodríguez, fondatrice della Congregazione delle Hermanas Esclavas del Corazón de Jesús, primo istituto religioso femminile di vita apostolica in Argentina.
Prima di salutare i pellegrini, egli ha ricordato che stasera inizierà il suo viaggio che lo porterà in Myanmar e Bangladesh. “Vi chiedo – ha aggiunto - di accompagnarmi con la preghiera, perché la mia presenza sia per quelle popolazioni un segno di vicinanza e di speranza”.
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