Papa: La preghiera, via d’uscita per la comunità, che rischia di chiudersi in se stessa a causa della persecuzione e della paura
Nella solennità del santi apostoli Pietro e Paolo, papa Francesco saluta la delegazione inviata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli e si augura il passaggio dalla “divisione all’unità”. Benedetto anche i palli per i nuovi arcivescovi maggiori, segno di comunione con la sede di Pietro. Le comunità cristiane devono essere “Chiese in uscita” grazie alla preghiera che fa vincere loro la paura e il “complesso di Erode”, della persecuzione che fa chiudere davanti ai pericoli, e “alle sorprese di Dio”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La preghiera è la via per far rinascere una “Chiesa in uscita”, non “chiusa in se stessa a causa della persecuzione e della paura”. Essa permette alla Chiesa di passare “dalla chiusura all’apertura, dalla paura al coraggio, dalla tristezza alla gioia. E possiamo aggiungere: dalla divisione all’unità”. È su questo passaggio “dalla chiusura all’apertura” che è ruotata l’omelia di papa Francesco proclamata oggi nella basilica di san Pietro in occasione della solenne eucaristia per la solennità degli apostoli Pietro e Paolo. Come da tradizione pluridecennale, ad assistere alla liturgia vi era una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata da Sua eminenza Methodios, metropolita di Boston, accompagnato da Sua Eccellenza Job, arcivescovo di Telmessos, e dal diacono patriarcale Nephon Tsimalis.
Presenti anche diversi arcivescovi metropolitani per i quali Francesco ha benedetto i palli, simboli della comunione con il vescovo di Roma. A differenza che in passato, il pallio verrà importo a ciascun arcivescovo nelle rispettive sedi dal rappresentante pontificio della zona.
“Rispetto alle chiusure – ha ribadito spesso il pontefice - la preghiera appare come la via di uscita principale: via di uscita per la comunità, che rischia di chiudersi in sé stessa a causa della persecuzione e della paura; via di uscita per Pietro, che ancora all’inizio della sua missione affidatagli dal Signore viene gettato in carcere da Erode e rischia la condanna a morte. Mentre Pietro era in prigione, «dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). E il Signore risponde alla preghiera e manda il suo angelo a liberarlo, “strappandolo dalla mano di Erode” (cfr v. 11). La preghiera, come umile affidamento a Dio e alla sua santa volontà, è sempre la via di uscita dalle nostre chiusure personali e comunitarie”.
Riferendosi alle letture del giorno, il papa ricorda la prigionia di Paolo (2Tim 4, 6-8.17.18), ma anche il fatto che il Signore gli è stato vicino, rendendolo annunciatore la fede cristiana anche nella prigionia, nell’attesa di vivere “l’apertura” verso la vita eterna. “È bello – spiega Francesco - allora vedere la vita dell’Apostolo tutta “in uscita” grazie al Vangelo: tutta proiettata in avanti, prima per portare Cristo a quanti non lo conoscono, e poi per buttarsi, per così dire, nelle sue braccia, ed essere portato da Lui «in salvo nei cieli, nel suo regno» (v. 18)”.
Nella vita di Simon Pietro è importante è la preghiera a portare Pietro “a uscire da sé stesso, dalle sue sicurezze umane, soprattutto dal suo orgoglio mischiato con il coraggio e con il generoso altruismo. In questo suo percorso di liberazione, decisiva è la preghiera di Gesù: «Io ho pregato per te [Simone], perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32). E altrettanto decisivo è lo sguardo pieno di compassione del Signore dopo che Pietro lo aveva rinnegato tre volte: uno sguardo che tocca il cuore e scioglie le lacrime del pentimento (cfr Lc 22,61-62). Allora Simone Pietro fu liberato dal carcere del suo io orgoglioso e pauroso, e superò la tentazione di chiudersi alla chiamata di Gesù a seguirlo sulla via della croce”.
Francesco si è soffermato soprattutto sul racconto della liberazione di Pietro dal carcere (12,1-11).
“Quando Pietro si trova miracolosamente libero fuori dal carcere di Erode, si reca alla casa della madre di Giovanni detto Marco. Bussa alla porta, e dall’interno risponde una domestica di nome Rode, la quale, riconosciuta la voce di Pietro, invece di aprire la porta, incredula e piena di gioia corre a riferire la cosa alla padrona. Il racconto, che può sembrare comico, ci fa percepire il clima di paura in cui si trovava la comunità cristiana, che rimaneva chiusa in casa, e chiusa anche alle sorprese di Dio”.
“Da qui – ha aggiunto a braccio - forse comincia quel ‘complesso di Erode’ [la percezione di essere perseguitati]”.
“La paura – ha concluso - ci ferma sempre, ci chiude alle sorprese di Dio. Questo particolare ci parla della tentazione che sempre esiste per la Chiesa: quella di chiudersi in sé stessa, di fronte ai pericoli. Ma anche qui c’è lo spiraglio attraverso cui può passare l’azione di Dio: dice Luca che in quella casa «molti erano riuniti e pregavano» (v. 12). La preghiera permette alla grazia di aprire una via di uscita: dalla chiusura all’apertura, dalla paura al coraggio, dalla tristezza alla gioia. E possiamo aggiungere: dalla divisione all’unità”.
“Sì, lo diciamo oggi con fiducia insieme ai nostri fratelli della Delegazione inviata dal caro Patriarca ecumenico Bartolomeo, per partecipare alla festa dei Santi Patroni di Roma. Una festa di comunione per tutta la Chiesa, come evidenzia anche la presenza degli Arcivescovi metropoliti venuti per la benedizione dei Palli, che saranno loro imposti dai miei Rappresentanti nelle rispettive Sedi. I santi Pietro e Paolo intercedano per noi, perché possiamo compiere con gioia questo cammino, sperimentare l’azione liberatrice di Dio e testimoniarla a tutti”.
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