Papa: La passione di Cristo è la risposta di Dio al “grido angosciato, e a volte indignato” dell’uomo nel dolore e nella morte
Alla messa per la canonizzazione di due beati (Stanislao di Gesù Maria Papczyński (1631-1701) e Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957), papa Francesco sottolinea la “vittoria di Dio sul dolore e sulla morte”. “Dio di fronte alla nostra morte (in ogni sua forma); non dice: ‘Tienitela, arrangiati!’, ma dice: ‘Dalla a me’”. E “Gesù chiede per sé la nostra morte, per liberarcene e ridarci la vita”. Anche per noi peccatori, Gesù “dice alla Madre Chiesa: ‘Dammi i tuoi figli’, che siamo tutti noi. Egli prende su di sé i nostri peccati, li toglie e ci restituisce vivi alla Chiesa stessa”. Il saluto alle delegazioni ufficiali da Polonia e Svezia e la preghiera dell’Angelus.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Nella passione di Cristo c’è la risposta di Dio al grido angosciato, e a volte indignato, che l’esperienza del dolore e della morte suscita in noi”. Questo tema del mistero pasquale, della “vittoria di Dio sul dolore e sulla morte”, di Gesù “rivelatore di Dio Padre consolatore degli afflitti” è il tema centrale dell’omelia che papa Francesco ha tenuto oggi durante una celebrazione di canonizzazione in piazza san Pietro.
I santi da canonizzare sono i beati Stanislao di Gesù Maria Papczyński (1631-1701) e Maria Elisabetta Hesselblad (1870-1957). Il primo, polacco, è fondatore dei Chierici mariani della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ricordato per la preghiera e l’aiuto a malati e appestati, come pure per la predicazione ai contadini e ai semplici. La seconda è una svedese, nata in una famiglia luterana, divenuta poi cattolica. Emigrante negli Stati Uniti, lavorò come infermiera. Giunta a Roma nel 1903, rivestì l’abito delle brigidine e si dedicò per ripristinare l’ordine Brigidino in ogni parte del mondo. Negli anni della seconda guerra mondiale, si adoperò inoltre per dare rifugio agli ebrei perseguitati. Ha offerto la sua vita per l’unità della Chiesa.
Nella sua omelia il pontefice cita per due volte i nuovi santi, ricordando che essi sono “rimasti intimamente uniti alla passione di Gesù e in loro si è manifestata la potenza della sua risurrezione”. Ma mette in luce soprattutto la potenza del Dio misericordioso, commentando i miracoli di cui parla oggi la liturgia (X domenica durante l’anno, C).
Il primo miracolo è quello compiuto dal profeta Elia verso il figlioletto della vedova di Sarepta. “La vedova di Sarepta – una donna non ebrea, che però aveva accolto nella sua casa il profeta Elia – è indignata con il profeta e con Dio perché, proprio mentre Elia era ospite da lei, il suo bambino si era ammalato e adesso era spirato tra le sue braccia. Allora Elia dice a quella donna: «Dammi tuo figlio» (1 Re 17,19). Questa è una parola-chiave: esprime l’atteggiamento di Dio di fronte alla nostra morte (in ogni sua forma); non dice: ‘Tienitela, arrangiati!’, ma dice: ‘Dalla a me’. E infatti il profeta prende il bambino e lo porta nella stanza superiore, e lì, da solo, nella preghiera, ‘lotta con Dio’, ponendogli di fronte l’assurdità di quella morte. E il Signore ascoltò la voce di Elia, perché in realtà era Lui, Dio, a parlare e agire nel profeta. Era Lui che, per bocca di Elia, aveva detto alla donna: ‘Dammi tuo figlio’. E adesso era Lui che lo restituiva vivo alla madre”.
Il secondo miracolo, narrato nel Vangelo, è quello della resurrezione del figlio della vedova di Nain. “Abbiamo ascoltato nel Vangelo (Lc 7,11- 17) come Lui [Gesù] provò «grande compassione» (v. 13) per quella vedova di Nain, in Galilea, la quale stava accompagnando alla sepoltura il suo unico figlio, ancora adolescente. Ma Gesù si avvicina, tocca la bara, ferma il corteo funebre, e sicuramente avrà accarezzato il viso bagnato di lacrime di quella povera mamma. «Non piangere!», le dice (Lc 7,13). Come se le chiedesse: ‘Dammi tuo figlio’. Gesù chiede per sé la nostra morte, per liberarcene e ridarci la vita. Infatti quel ragazzo si risvegliò come da un sonno profondo e ricominciò a parlare. E Gesù «lo restituì a sua madre» (v. 15). Non è un mago! È la tenerezza di Dio incarnata, in Lui opera l’immensa compassione del Padre”.
Francesco mette in luce che vi sono anche resurrezioni interiori, come quella dell’apostolo Paolo: “Una sorta di risurrezione è anche quella dell’apostolo Paolo, che da nemico e feroce persecutore dei cristiani divenne testimone e araldo del Vangelo (cfr Gal 1,13-17). Questo radicale mutamento non fu opera sua, ma dono della misericordia di Dio, che lo «scelse» e lo «chiamò con la sua grazia», e volle rivelare ‘in lui’ il suo Figlio perché lo annunciasse in mezzo alle genti (vv. 15-16). Paolo dice che Dio Padre si compiacque di rivelare il Figlio non solo a lui, ma in lui, cioè quasi imprimendo nella sua persona, carne e spirito, la morte e la risurrezione di Cristo. Così l’apostolo sarà non solo un messaggero, ma anzitutto un testimone”.
“E anche con i peccatori – ha aggiunto - ad uno ad uno, Gesù non cessa di far risplendere la vittoria della grazia che dà vita. Dice alla Madre Chiesa: ‘Dammi i tuoi figli’, che siamo tutti noi. Egli prende su di sé i nostri peccati, li toglie e ci restituisce vivi alla Chiesa stessa. E ciò avviene in modo speciale durante questo Anno Santo della Misericordia”.
“La Chiesa oggi – ha concluso - ci mostra due suoi figli che sono testimoni esemplari di questo mistero di risurrezione. Entrambi possono cantare in eterno, con le parole del Salmista: «Hai mutato il mio lamento in danza, / Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre» (Sal 30,12). E tutti insieme uniamo le nostre voci dicendo: «Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato» (Ritornello al Salmo responsoriale)”.
Prima della conclusione della messa, insieme ai circa 50mila fedeli nella piazza, il papa ha recitato la preghiera dell’Angelus. Egli ha anche ringraziato tutti gli intervenuti, soprattutto le delegazioni ufficiali dalla Svezia e dalla Polonia, terre di origine dei due nuovi santi. La delegazione polacca era guidata dal loro Presidente della repubblica.
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