Papa: Enciclica, anche la globalizzazione ha bisogno dell’anima
di Franco Pisano
E’ dedicata allo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità la terza enciclica di Benedetto XVI. L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, di un’etica amica della persona. No a uno sviluppo che sfrutta i lavoratori e la natura e non rispetta l’uomo e il diritto alla vita. Aborto e controllo delle nascite sono a volte imposti ai Paesi poveri. Rispettare la libertà religiosa. La tecnica rischia di divenire una nuova ideologia.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Alla globalizzazione, che segna questi nostri tempi, serve la riaffermazione della necessità dell’etica, serve “un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza” capace di “correggerne le disfunzioni”. La finanza, il mercato, i rapporti internazionali e quelli interni a ogni singolo Paese, il rispetto dei diritti, da quello alla vita a quelli di chi lavora, l’uso e il non abuso della natura, in una parola lo sviluppo umano, per essere integrale, ossia per riguardare l’intero della persona umana, hanno bisogno della “carità nella verità”. “L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona”. E’ quanto afferma la Caritas in Veritate, terza enciclica di Benedetto XVI, resa pubblica oggi, e dedicata alle diverse facce del tema dello sviluppo, a 40 anni dalla Populorum Progressio, la grande enciclica di Paolo VI.
Indirizzata “ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici e a tutti gli uomini di buona volontà”, l’enciclica, di 127 pagine, comincia con l’affermazione che “la carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone” è “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera”. Il binomio è indivisibile, “la verità è luce che dà senso e valore alla carità” e “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità” (n. 3). E “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo” (n. 4).
“Caritas in veritate”, è “principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa”, della quale Benedetto XVI sottolinea in particolare due aspetti, la giustizia e il bene comune. “La carità - nota - eccede la giustizia, perché amare è donare”, ma “non posso ‘donare’ all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia”. Il bene comune poi “è il bene di quel ‘noi-tutti’, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità” (n. 7).
La Populorum Progressio
E’ in questa prospettiva che il Papa esamina il problema attuale dello sviluppo in tutte le sue sfaccettature, partendo dal cuore della Populorum progressio, alla quale è dedicato il primo capitolo del documento. In essa Paolo VI ci diceva che “l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo e ci ha lasciato la consegna di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza, vale a dire con l'ardore della carità e la sapienza della verità” (n. 8). Ne deriva che “l'autentico sviluppo dell'uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione” ( n. 11). Papa Montini “osservava che le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale. Egli ci invitava a ricercarle in altre dimensioni dell'uomo. Nella volontà, prima di tutto, che spesso disattende i doveri della solidarietà. Nel pensiero, in secondo luogo, che non sempre sa orientare convenientemente il volere” (n. 19). “La società sempre più globalizzata - osserva Benedetto XVI - ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna” (n. 19).
Lo sviluppo umano nel nostro tempo
“Lo sviluppo economico che auspicava Paolo VI doveva essere tale da produrre una crescita reale, estensibile a tutti e concretamente sostenibile. È vero che lo sviluppo c'è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone”, ma “va riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi”. Tali sono l’attività finanziaria “per lo più speculativa”, i flussi migratori “spesso solo provocati” e poi mal gestiti e, ancora, “lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra”. “La complessità e gravità dell'attuale situazione economica” deve far “assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino” (n. 21).
Oggi, lo sviluppo è “policentrico”. “Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità” e nascono nuove povertà, continua “lo scandalo di disuguaglianze clamorose”. “La corruzione e l'illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale” (n . 22). “Gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità” dei donatori e dei fruitori, mentre “ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario” (n. 22).
Nella nostra epoca, inoltre, “lo Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale”. “Questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati” (n. 24). Ma “facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere” (n. 24). Ciò è particolarmente urgente in un mercato diventato globale che “ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno” (n. 25). Oltre a stimolare “forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere”, “questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi”, con “grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale” (n. 25). L’enciclica ricorda, in proposito, che la Chiesa ha sempre sostenuto la creazione di associazioni dei lavoratori per la difesa dei propri diritti e che ciò oggi è ancora più necessario, anche a livello internazionale.
La globalizzazione sta avendo effetti anche sul piano culturale, facilitando le possibilità di interazione tra le culture. “Non va tuttavia trascurato il fatto che l'accresciuta mercificazione degli scambi culturali favorisce oggi un duplice pericolo”. In primo luogo, un eclettismo culturale in cui le culture vengono “considerate sostanzialmente equivalenti”. Il pericolo opposto è “l’appiattimento culturale”, “l’omologazione degli stili di vita”. “In questo modo viene perduto il significato profondo della cultura delle varie Nazioni, delle tradizioni dei vari popoli, entro le quali la persona si misura con le domande fondamentali dell'esistenza” (n. 26).
La stessa esistenza, peraltro, è spesso a rischio. In molti Paesi poveri rimane lo scandalo della fame. “Dare da mangiare agli affamati”, ricorda il Papa “ è un imperativo etico per la Chiesa” ed è divenuto, “anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta”. “La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale”. “È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni” (n. 28). Dallo sviluppo dei popoli il rispetto per la vita “non può in alcun modo essere disgiunto”. “L'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”, mentre in varie parti del mondo si sviluppano forme di controllo demografico che “giungono a imporre anche l’aborto”. Nei Paesi sviluppati si è diffusa una “mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale” e c’è “il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati” a “politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione” del controllo delle nascite. Preoccupanti sono pure le “legislazioni che prevedono l’eutanasia”. “Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita finisce per non trovare più” motivazioni ed energie “per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo” (n. 28).
Anche il diritto alla libertà religiosa fa parte dello sviluppo dei popoli. Nella sua negazione il documento, “oltre al fanatismo religioso che in alcuni contesti impedisce l'esercizio del diritto di libertà di religione”, indica anche “la promozione programmata dell'indifferenza religiosa o dell'ateismo pratico da parte di molti Paesi”. Ciò “contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane”. “Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all'amore divino” (n. 29).
A conclusione di questo esame, il Papa scrive che “le grandi novità, che il quadro dello sviluppo dei popoli oggi presenta, pongono in molti casi l'esigenza di soluzioni nuove”. Occorre che le scelte economiche mirino “a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro” per tutti. Va evitata l’economia “del breve e talvolta brevissimo termine” che determina “l’abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori” per far acquisire ad un Paese “maggiore competitività internazionale”. La correzione delle disfunzioni del modello di sviluppo richiede attenzione anche allo “stato di salute ecologica del pianeta”.
Fraternità, sviluppo economico e società civile
La realtà mostra che “la convinzione della esigenza di autonomia dell'economia, che non deve accettare ‘influenze’ di carattere morale, ha spinto l'uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano” (n. 34). Lo sviluppo invece, “se vuole essere autenticamente umano”, deve “fare spazio al principio di gratuità”. Ciò vale anche per il mercato che, “lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare” (n. 34). La “ logica mercantile”, così, “va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l'agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione” (n. 36). Il principio di gratuità e la logica del dono “possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (n. 36).
Nelle attuali dinamiche economiche internazionali, “uno dei rischi maggiori è senz'altro che l'impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così per ridurre la sua valenza sociale”. “Anche se le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell'impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, è un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento” (n. 40).
Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente
Molte persone, oggi, “ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l'altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio” (n. 43). E quando “trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un'assemblea di cittadini, possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l'oggettività e l' ‘indisponibilità’ dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo” (n. 43). La necessità di un corretto rapporto tra diritti e doveri si riflette in vari aspetti della vita sociale. A partire dalle problematiche connesse con la crescita demografica. “Si tratta di un aspetto molto importante del vero sviluppo, perché concerne i valori irrinunciabili della vita e della famiglia. Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico”: basta pensare, da una parte, al prolungamento della vita media che si registra nei Paesi economicamente sviluppati; “dall'altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità. Resta ovviamente doveroso prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile” (n. 44).
Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell'uomo con la natura. Questa “è stata donata da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l'umanità intera” (n. 48). Vale anche per le problematiche energetiche: “l'accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri”. La comunità internazionale deve perciò “trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili”. “Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico”, mentre deve “avanzare la ricerca di energie alternative”. Alla fine “è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita” (n. 51). “Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un'istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell'uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell'ambiente naturale, quando l'educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse” (n. 51).
La collaborazione della famiglia umana
Lo sviluppo dei popoli, in definitiva “dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia”. A questo obiettivo il cristianesimo fornisce un aiuto indispensabile, con il concetto di unità del genere umano, composto dai figli di Dio. “Anche altre culture e altre religioni insegnano la fratellanza e la pace e, quindi, sono di grande importanza per lo sviluppo umano integrale. Non mancano, però, atteggiamenti religiosi e culturali in cui non si assume pienamente il principio dell'amore e della verità e si finisce così per frenare il vero sviluppo umano o addirittura per impedirlo” (n. 55). D’altronde la religione cristiana può contribuire allo sviluppo “solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica”. Con “la negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione”, la politica “assume un volto opprimente e aggressivo”. “Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo” tra la ragione e la fede. Rottura che “comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità”. (n. 56)
“Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz'altro il principio di sussidiarietà, espressione dell'inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l'autonomia dei corpi intermedi” (n. 57). “Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano”, articolando il potere “su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente” (n. 57). La sussidiarietà, è anche “l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista”. Gli aiuti internazionali “possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza”, per questo vanno erogati coinvolgendo i soggetti della società civile e non solo i governi. A quelli ricchi, in particolare, si chiede di “destinare maggiori quote” del Pil per lo sviluppo e di facilitare un maggiore accesso alla “formazione completa della persona”.
Di fronte “all'inarrestabile crescita dell'interdipendenza mondiale”, è fortemente sentita anche l'urgenza della riforma sia dell'Onu che “dell'architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni. Sentita è pure l'urgenza di trovare forme innovative per attuare il principio di responsabilità di proteggere e per attribuire anche alle Nazioni più povere una voce efficace nelle decisioni comuni” (n. 67). Serve “la presenza di una vera Autorità politica mondiale” che si attenga “in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà”. Un’autorità che goda di “potere effettivo”. Si dovrebbe infine istituire “un grado superiore di ordinamento internazionale” per governare la globalizzazione.
Lo sviluppo dei popoli e la tecnica
“Il problema dello sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico, con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico”. La tecnica “è un fatto profondamente umano, legato all'autonomia e alla libertà dell'uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia” (n. 69). Lo sviluppo tecnologico, però, “può indurre l'idea dell'autosufficienza della tecnica stessa quando l'uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo”. “Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico” (n. 70). “Quando prevale l'assolutizzazione della tecnica si realizza una confusione fra fini e mezzi, l'imprenditore considererà come unico criterio d'azione il massimo profitto della produzione; il politico, il consolidamento del potere; lo scienziato, il risultato delle sue scoperte” (n. 72). Connessi con lo sviluppo tecnologico è la “pervasività” dei mezzi di comunicazione sociale, chiamati invece a promuovere “la dignità della persona e dei popoli” (n. 73). “Di fronte a questi drammatici problemi, ragione e fede si aiutano a vicenda. Solo assieme salveranno l'uomo. Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell'illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione, rischia l'estraniamento dalla vita concreta delle persone” (n. 74).
Alla fine, “lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un'‘unità di anima e corpo’, nata dall'amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. L'essere umano si sviluppa quando cresce nello spirito, quando la sua anima conosce se stessa e le verità che Dio vi ha germinalmente impresso, quando dialoga con se stesso e con il suo Creatore. Lontano da Dio, l'uomo è inquieto e malato. L'alienazione sociale e psicologica e le tante nevrosi che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale. Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l'anima, non è di per sé orientata all'autentico sviluppo”. “Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e corpo” (n. 76).
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