Papa in Terra Santa: un viaggio "nella direzione dell'incontro"
Città del Vaticano (AsiaNews) - Un viaggio "nella direzione dell'incontro" l'ha definito il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, e in tal senso va visto il pellegrinaggio che da domani vedrà papa Francesco in Terra Santa. Una visita in primo luogo nel segno dell'ecumenismo, visto che vuole commemorare i 50 anni dallo storico abbraccio tra Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora, avvenuto proprio a Gerusalemme, rinnovato nei quattro incontri previsti con l'attuale patriarca Bartolomeo, con i momenti forti della firma di una dichiarazione comune e di una preghiera ecumenica nella basilica del Santo Sepolcro, previsti per domenica.
Quarto papa a recarsi nella regione ove visse Gesù, Francesco, come i suoi predecessori, cercherà, sono ancora parole del card. Parolin, "di aiutare tutti i responsabili e tutte le persone di buona volontà a prendere decisioni coraggiose sulla via della pace". Obiettivo particolarmente difficile, dopo il fallimento della mediazione statunitense per una ripresa dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi, ma per il quale il Papa certamente si spenderà nei previsti incontri con il presidente palestinese Mahmoud Abbas (domenica), il presidente israeliano Shimon Peres e il primo ministro Benjamin Netanyahu (lunedì).
Nella stessa direzione, anche se soprattutto in quella del dialogo interreligioso, vanno visti gli incontri con il Gran Mufti di Gerusalemme e ai due Gran Rabbini di Israele e le visite al Muro Occidentale, allo Yad Vashem e al Monte Herzl, dove è la tomba del fondatore del sionismo, tutti in programma lunedì, prima del rientro a Roma. Significativa, nell'ottica del dialogo interreligioso, la scelta di papa Francesco di includere tra coloro che lo accompagnano nel viaggio, Abraham Skorka, rettore del Seminario rabbinico latinoamericano di Buenos Aires e Omar Abboud del Centro islamico argentino.
Ultimo, ma certo non per importanza, il viaggio di papa Francesco mira a "confermare nella fede" i cattolici e in genere i cristiani che vivono nella regione. Sono attualmente circa mezzo milione, escluso il Libano. In Giordania, prima tappa della visita papale, vivono circa 200mila cristiani, ugualmente divisi tra cattolici e ortodossi, ai quali vanno aggiunti, ma mancano cifre attendibili, profughi siriani e iracheni. In Cisgiordania sono circa 50mila, la metà quasi dei quali cattolici. Sono principalmente a Betlemme e Ramallah. Nella Striscia di Gaza, la presa di potere di Hamas, nel 2007, ha dato inizio a una continua diminuzione del numero dei cristiani, ora appena 1,550, 130 dei quali cattolici. In Israele, infine, i cristiani sono circa 160mila, la metà dei quali cattolici. A essi vanno aggiunti circa 60mila lavoratori immigrati, quasi tutti cattolici, che non hanno nazionalità israeliana.
In tutta la regione i cristiani sono una minoranza in decrescita, vittima negli ultimi anni della violenza sistematica dei gruppi estremisti islamici in Iraq e Siria e, in parte, anche nella Striscia di Gaza, emarginati in Israele. L'islamismo che ha dato connotazione seppur falsamente religiosa alla "Primavera araba" sta facendo sì che i cristiani della regione - nella stragrande maggioranza arabi - vengano in certo modo considerati dagli altri arabi "estranei" alle terre nelle quali vivono da duemila anni. Una ghettizzazione alla quale contribuisce anche Israele con la recente decisione di aprire solo ai cristiani di nazionalità israeliana la possibilità di arruolarsi nell'esercito. Nello stesso Israele, se la comparsa di scritte minacciose su chiese e luoghi cristiani può essere espressione di estremismo ebraico marginale, la popolazione cristiana è sempre stata emarginata. (FP)