04/12/2024, 12.19
VATICANO
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Papa all'udienza: 'La guerra non risolve i problemi'

Da piazza San Pietro Bergoglio ha espresso ancora parole di dolore per i conflitti: "Tanti bambini morti, tanti innocenti morti". Il pensiero a Ucraina, Palestina, Israele e Myanmar. La catechesi sullo Spirito Santo e la Chiesa - per la prima volta tradotta in cinese - dedicata alla predicazione: "Oltre gli 8 minuti non si capisce. Predicare Gesù, non sé stessi". 

Città del Vaticano (AsiaNews) - “Tanti bambini morti, tanti innocenti morti. Preghiamo perché il Signore ci faccia arrivare alla pace”. È ancora alle sofferenze dei Paesi in guerra che papa Francesco dedica parole piene di dolore, per ricordare quanto le persone vulnerabili siano nel mondo le prime vittime delle violenze. “Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, non dimentichiamo la Palestina, Israele, Myanmar”, ha detto questa mattina all’udienza generale del mercoledì durante i saluti finali dedicati ai fedeli di lingua italiana, davanti a una piazza San Pietro gremita di pellegrini. 

“Per favore, continuiamo a pregare per la pace”, è l’invito dei pontefice. Per non smettere di gettare luce sul bisogno di armonia e di futuro di tanti popoli e persone. “La guerra non risolve i problemi, la guerra è cattiva, la guerra distrugge”, ha aggiunto, condannando lo scontro come pratica di risoluzione delle controversie. “Preghiamo per i Paesi in guerra”. In uno scenario globale in cui oltre ai luoghi noti da mesi per le sofferenze inflitte e subite, anche nuovi fronti sembrano incendiarsi. Come denota la tragica condizione della Siria, mai assopita ma che si è riaccesa negli ultimi giorni con l’avanzata delle milizie ribelli e l’instabilità della Corea del Sud, dove la legge marziale è stata annunciata e poi revocata nelle ultime ore, mentre si chiede l’impeachment.

Aprendo l’udienza generale di oggi, Bergoglio ha continuato il ciclo di catechesi dedicato alla relazione tra lo Spirito Santo e la Chiesa. La meditazione di oggi aveva come tema l’annuncio del Vangelo “nello Spirito Santo”, e l’evangelizzazione. Dopo la lettura del brano delle Scritture tratto dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi (1 Cor 2,1.4-5) - letto in lingua cinese per la prima volta dopo l’annuncio della scorsa settimana - papa Francesco dedicato la riflessione alla predicazione cristiana, partendo dai suoi due “elementi costitutivi”: Vangelo e Spirito. A partire dalle parole di Pietro che descrive gli apostoli come “coloro che hanno annunciato il Vangelo mediante lo Spirito Santo”.

Il Vangelo assume due accezioni principali nella Storia. Anzitutto si riferisce ai testi canonici degli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e ciò significa “la buona notizia proclamata da Gesù durante la sua vita”. Infatti, dopo la Pasqua, diventa “il mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore”. “La predicazione di Gesù e, in seguito, quella degli Apostoli, contiene anche tutti i doveri morali che scaturiscono dal Vangelo”, ha detto Bergoglio. 

Per questo, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013) si utilizza la parola “kerygma”, o proclamazione. “È necessario ripartire sempre di nuovo dall’annuncio di ciò che Cristo ha fatto per noi”. Il suo annuncio è il “primo”: “Quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi”, ha aggiunto Francesco.

Il Vangelo è quindi il “contenuto” della predicazione cristiana. Invece, lo Spirito Santo è il “mezzo”. “Predicare con l’unzione dello Spirito Santo significa trasmettere, insieme con le idee e la dottrina, la vita e la convinzione della nostra fede”, ha detto. Un’azione che è molto difficile da realizzare, ma possibile grazie alla preghiera e al “non volere predicare noi stessi, ma predicare Gesù Signore”. Sulla predicazione non ego-riferita il pontefice ha affermato chese supera gli 8 minuti "svanisce, non si capisce". I fedeli in ascolto hanno spontaneamente applaudito a queste parole, pronunciate a braccio. E rivolgendosi ai predicatori ha detto: “Devono predicare un’idea, un affetto e un invito a fare”. E non mettere al centro sé stessi “implica anche non dare sempre la precedenza a iniziative pastorali promosse da noi e legate al proprio nome, ma collaborare volentieri, se richiesto, alle iniziative comunitarie, o affidateci dall’obbedienza”. 

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