Papa a Cuba: più importante della fine dell’embargo è la riconciliazione fra i cubani
L’Avana (AsiaNews) - Da diversi giorni tutti i media di Cuba – di proprietà dello Stato – hanno sviluppato un’intensa campagna mediatica in occasione della visita di papa Francesco. Interviste televisive assolutamente inusuali all’Arcivescovo di l’Avana e all’Arcivescovo di Santiago; trasmissioni radio e TV con lunghi servizi sulla figura di Jorge Mario Bergoglio; giudizi positivi divulgati da persone di Chiesa e giornalisti professionisti: un fatto piuttosto sorprendente, perché il tono ordinario dei media su questi temi è sempre stato il silenzio oppure l’informazione tendenziosa.
Per il cubano medio tutte queste informazioni gli hanno permesso di conoscere nuove realtà. È vero anche che dal 17 dicembre scorso quando i presidenti di Cuba e Stati Uniti hanno annunciato in contemporanea l’inizio di un processo di distensione per normalizzare le relazioni tra i due Paesi, la persona di papa Francesco - vescovo di Roma, latinoamericano, argentino e gesuita - ha acquistato enorme importanza per il suo ruolo di mediatore, riconosciuto da entrambi i leader. Ogni giorno, questo cubano medio deve fare grandi sforzi per comprare del cibo, e riuscire ad avere soldi sufficienti; deve fare lunghe code per qualsiasi problema; girare diverse farmacie per acquistare le medicine necessarie; aspettare per settimane per una visita medica specialistica; sopportare per ore il soffocante caldo tropicale finché l’autobus arriva; aspettare con ansia la “ayudita” ovvero il piccolo aiuto che i parenti emigrati all’estero gli inviano e che gli permette di sopravvivere e forse riparare anche il tetto di casa sta per cadere. Per quel cubano medio la visita del papa può essere celebrata con gratitudine se significa un miglioramento della sua vita e se aiuta alla normalizazione dei rapporti con il “Nord [gli Stati Uniti – ndr]” portando benefici tangibili. È in questo il contesto che egli vorrebbe vedere la liberazione evangelica che proclama Gesù.
Senza alcun dubbio, per lo stato cubano l’evento della visita è un forte stímolo per richiedere ancora una volta la fine del blocco e dell’embargo – censurato dai vescovi cubani e dai pontefici che hanno preceduto Francesco in queste visite -, il ritorno del territorio della base navale e le richieste di compensazione economica per gli effetti di questo embargo. In più, l’immagine di questa visita, proiettata all’estero e molto seguita in tutto il mondo, è un cosmetico importante che può dare l’idea di una realtà in trasformazione verso la democrazia.
La visita di papa Francesco, col suo carattere spontaneo ed imprevedibile e la sua preparazione mediatica, conferiscono alla Chiesa cattolica una rilevanza sociologica significativa di cui è stata privata per decenni ed è probabile che ora possa guadagnare pian piano spazi nei media ed in determinati settori educativi. La grande sfida è però, per la Chiesa come per il governo cubano, la cancellazione di un embargo all’interno del Paese, cioè l’effettiva acquisizione dell’autonomia civica e, di conseguenza, la formazione della società civile e il pluralismo.
Le letture e le riflessioni ecclesio-politiche su questa visita possono essere tante e anche opposte. Sono tante le ferite secolari conservate nella memoria dei cubani su entrambi lati dello Stretto della Florida, e perciò è necessario ricorrere agli occhi della fede. Nulla accade per caso e, come dice San Paolo: “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rom. 8,28) e San Agostino, commentando questo passo, ha aggiunto: “anche il peccato”. È in questa prospettiva che prendono una forza insolita le celebri parole di San Giovanni Paolo II: “Cuba si apra al mondo... e il mondo si apra a Cuba”, espressione che accolgo, aggiungendo: “Cuba si apra a Cuba”.