Papa Francesco in Turchia: gli incontri "dietro le quinte"
Istanbul (AsiaNews) - Per tre giorni la Turchia è stata sotto i riflettori del mondo, gli occhi di tutti puntati addosso per la visita del papa argentino, osservata e coinvolta nel viaggio apostolico di Francesco: canali televisivi, radio e giornali nazionali e internazionali hanno seguito passo dopo passo gli spostamenti del pontefice, i suoi incontri e i suoi discorsi.
Ora tutto è ritornato nel silenzio e ogni cosa pare aver ripreso la sua normalità e nulla sembra essere cambiato. Ma nel cuore della popolazione turca si è confermata e consolidata l'immagine che aveva di questo pontefice, offrendo una nuova visione di "autorità". E' forte la sensazione di aver trovato una persona autorevole che non disdegna di essere "normale", che non vuole usufruire dei privilegi della sua posizione sociale per mostrare la sua superiorità, nè si arrocca dietro protezioni e sicurezze che creano steccati e così tutti l'hanno sentita vicina.
Proprio questo ha colpito cristiani e non cristiani: la sua capacità di "farsi vicino", di voler incontrare e stare con le persone, così come loro sono, senza porre barriere. Il filo rosso di questo suo viaggio è stato - secondo i commenti che si sentono ancora un po' ovunque nella strada, sui mezzi pubblici e nelle case - la sua ferma volontà di "farsi prossimo": tutto l'itinerario che ha portato il pontefice da Ankara ad Istanbul - viaggio che nella prima tappa si è rivolto ai musulmani e nella seconda alla Chiesa cattolica e alle Chiese sorelle dell'ortodossia - è segnato da questa caratteristica: una vicinanza che ha rafforzato la fiducia e la benevolenza verso quest'uomo di Dio.
Tendendo la mano, nel segno della pace e del rispetto, avvicinandosi lui per primo, ha riavvicinato un po' tutti: i cattolici con gli ortodossi e gli armeni; i cristiani con i musulmani, i turchi con gli stranieri.
Condannando la violenza e l'intolleranza, la sua mano tesa si è aperta con fiducia per stringere quella delle autorità civili e quella degli esponenti musulmani, quella del fratello Bartolomeo I a cui ha chiesto la benedizione chinando il capo, ma anche quella dei tanti cristiani che volevano toccarlo, baciarlo o pur solo vederlo, e quella dei profughi provenienti dalla Siria e dall'Iraq.
Certo, ha colpito la sua silenziosa preghiera di adorazione nella moschea blu e ha colpito l'inchino a Bartolomeo, con la richiesta di benedirlo e pregare per lui. Ma ancor più hanno stupito i gesti "dietro le quinte", la sua capacità di ritagliarsi del tempo, nel già fitto programma della sua visita, per stare vicino alla gente comune, quella delle periferie esistenziali.
Così ad Ankara, al termine di una giornata densa di incontri con le massime autorità politiche e religiose della Turchia, ha voluto incontrare un gruppetto di cristiani - invisibili come aghi nel pagliaio nel cuore amministrativo della Repubblica turca - e i suoi confratelli gesuiti, per scambiare quattro parole in amicizia, solidarietà e fratellanza in un disteso clima familiare.
Ad Istanbul è stato accolto da una cinquantina di esponenti delle comunità cattoliche locali (latini armeni, siriaci e caldei) presso la Rappresentanza Pontificia, che fu per dieci anni casa di mons. Roncalli durante la sua presenza a Costantinopoli dal 1935 al 1944.
Poi, ultima tappa del viaggio di Papa Francesco in Turchia è stato l'incontro, nella cattedrale dello Spirito Santo ad Istanbul, con un centinaio di giovani profughi assistiti dall'Oratorio Salesiano presso la Sublime Porta.
Il giorno prima, Francesco aveva apprezzato il governo turco e riconosciuto l'impegno di Ankara nell'accoglienza dei profughi, giunti numerosi dalle zone di conflitto; aveva parlato della guerra, della violenza che da troppi anni insanguina il Medio Oriente; aveva lanciato il suo messaggio di pace. Ma non si è limitato ai proclami e lui stesso ha voluto incontrare e far sentire la sua vicinanza a coloro che hanno dovuto lasciare la terra, la casa, tutto, a causa dell'atroce follia del fanatismo e del fondamentalismo.
Salutando questi giovani, il pontefice, ha detto di aver molto desiderato incontrarli: "Volevo incontrare anche altri rifugiati - ha affermato - ma non è stato possibile fare altrimenti. Voi provenite dalla Turchia, dalla Siria, dall'Iraq, da vari Paesi del Medio Oriente e dell'Africa. Voglio manifestarvi la mia partecipazione alla vostra sofferenza e spero che questa mia visita, con la grazia del Signore, possa donarvi un po' di consolazione nella vostra difficile situazione. Essa è la triste conseguenza di conflitti esasperati e della guerra, che è sempre un male e non rappresenta mai la soluzione dei problemi, ma anzi ne crea altri".
"I profughi, come voi - ha proseguito il Papa - si trovano spesso privi, a volte per lungo tempo, di beni primari: un'abitazione dignitosa, l'assistenza sanitaria, l'educazione, il lavoro. Hanno dovuto abbandonare non solo realtà materiali, ma soprattutto la libertà, la vicinanza dei familiari, il loro ambiente vitale e le tradizioni culturali. Le condizioni degradanti in cui tanti profughi devono vivere sono intollerabili! Per questo bisogna mettere tutto l'impegno per rimuovere le cause di questa realtà. Lancio un appello per una maggiore convergenza internazionale volta a risolvere i conflitti che insanguinano le vostre terre di origine, a contrastare le altre cause che spingono le persone a lasciare la loro patria e a promuovere le condizioni perché possano rimanere o ritornare. Incoraggio tutti coloro che stanno operando generosamente e lealmente per la giustizia e la pace a non perdersi d'animo. Mi rivolgo ai Capi politici, affinché tengano conto che la grande maggioranza delle loro popolazioni aspira alla pace, anche se a volte non ha più la forza e la voce per chiederla!".
E ha continuato: "Cari giovani, non scoraggiatevi! E' facile dirlo ma fate uno sforzo per non scoraggiarvi. Con l'aiuto di Dio, continuate a sperare in un futuro migliore, nonostante le difficoltà e gli ostacoli che adesso state affrontando. La Chiesa cattolica vi sta vicino e ricordatevi sempre che Dio non dimentica nessuno dei suoi figli, e che i più piccoli e i più sofferenti sono più vicini al suo cuore di Padre".
Prima di ripartire per Roma, il Papa ha voluto far visita anche al Patriarca armeno di Costantinopoli, - per il quale già aveva assicurato la sua preghiera durante la celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Istanbul - Mesrob II Mutafyan, gravemente malato da anni e ricoverato presso l'ospedale armeno San Salvatore di Istanbul.
Uscendo dai tranelli della critica e della denuncia, l'umiltà di Francesco verso coloro che si reputano i grandi della terra, la sua tenerezza e vicinanza verso i piccoli, i fragili e i dimenticati, hanno smosso le "viscere" della gente in Turchia, cristiana e musulmana, e hanno indicato coraggiosamente la via della fratellanza, del dialogo fattivo, della concordia e della pace. Non come strategia per conquistarsi l'audience, ma attuando la logica del Vangelo. I turchi questo l'hanno percepito bene.
L'uomo forte, sicuro di sé, capace di escogitare un modo raffinato di imporsi e di tenere le distanze, nega la fragilità, la prossimità, separa gli essere umani, avvelena il mondo. In un mondo dove tutti, ma soprattutto i potenti, per sicurezza e difesa personale, costruiscono muri, si arroccano dietro barriere, Francesco ha aperto spiragli di prossimità, ha rotto pregiudizi e luoghi comuni, raccontando così, con le sue scelte e i suoi gesti, chi è il vero "dialogante": colui che senza perdere la propria identità, osa uscire da sé, dal suo mondo, per lasciare agli altri la possibilità di farsi prossimo.
Questo il dono dei tanti ponti che il Pontefice ha voluto gettare durante questa sua visita in Turchia: lasciandosi coinvolgere in prima persona, non ha avuto e non ha fatto paura, si è reso vicino e ha creato unità. Facendosi testimone di dialogo, ha dimostrato che la comunione è possibile a tutti e la pace è a portata di mano.
14/07/2020 09:43