Pakistan: conversioni forzate di ragazze indù all’islam. Spesso non denunciate per paura
Lahore (AsiaNews/Agenzie) – Giovani ragazze indù vngono costrette a diventare musulmane e obbligate a sposre i loro rapitori: è la denuncia degli indù pakistani, raccolti nel Movimento dei diritti per le “scheduled castes” da poco formato in Pakistan. Essi chiedono anche maggior rispetto per i loro diritti. Gli indù appartenenti alle “scheduled castes”, cioè alle minoranze induiste protette, formano il 6% del totale della popolazione pakistana, e il 10% nella regione del Sindh, ma sono sotto-rappresentate sia nei pubblici impieghi che nelle assemblee elettive. In aggiunta, il movimento chiede che venga creata una legge per la registrazione dei matrimoni delle “scheduled castes”; che venga usato il termine “indù” invece di quello di “scheduled castes” nella colonna che specifica la religione nei dati anagrafici; che il Parlamento nazionale promuova una legge contro l’odio interreligioso nei loro confronti.
Il Movimento raccoglie vari gruppi etnici indù come Kolhi, Bhel, Bagri, Meghwar e Rawara. Essi non hanno case permanenti, vivono in accampamenti provvisori alla mercé dei signorotti terrieri locali. Dalla creazione del Pakistan non è mai cresciuto il numero di 10 posti in Parlamento riservati alle minoranze. E soprattutto, denuncia . Per questo il Movimento per i diritti chiede che vengano concesse terre, dove stabilire la loro residenza, che venga loro permesso di celebrare le feste religiose e che venga applicata la quota del 6% a loro riservata nei servizi pubblici. I leader del Movimento sottolineano che la situazione è tale che i gruppi sono tenuti in uno stato di prigionia dai proprietari terrieri, e che i casi di conversioni forzate di ragazze indù sono estremamente frequenti, e non denunciati. Essi chedono perciò che vengano prese misure nei confronti dei responsabili.
Anche la minornza cristiana soffre per motivi simili. Va registrato però un fatto positivo: un giudice a Rawalpindi ha scagionato tre cristiani dall’accusa di blasfemia; anche se resta la preoccupazione per il timore che i tre diventino il bersaglio di un atto di violenza da parte dei radicali islamici. Il giudice Sarfraz Akhter ha rimandato liberi il 12 giugno Hector Haleem, Basharat Masih e Robin Masih dal momento che il Pubblico ministero non è stato in grado di fornire prove a sostegno dell’accusa, presentata nei loro confronti l’anno scorso da un musulmano, Ghufran Sialvi. L’accusa era quella di aver inviato messaggi blasfemi. Il tribunale ha aperto un’inchiesta per incriminare sia il responsabile della polizia che il denunciante per non essere stati in grado di presentare le prove dell’accusa. Haleem, 55 anni, dirige un’Ong pakistana chiamata “Peace Worldwide”, pace in tutto il mondo.
22/02/2022 11:00