11/07/2017, 12.18
PAKISTAN
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Pakistan, dal 2015 465 esecuzioni capitali. ‘Motivi politici’ dietro le condanne

I dati relativi al periodo da quando il governo ha eliminato la moratoria sulla pena di morte e sono pubblicati dalla Ong Justice Project Pakistan. Il Punjab è la provincia con il più alto numero di impiccagioni, pari all’83% del totale. Il crimine non è diminuito da quando è stata reintrodotta la pena di morte. Condanne a morte compiute “per fare spazio” nelle carceri sovraffollate.

Islamabad (AsiaNews) – Dal dicembre 2014, cioè da quando il governo di Islamabad ha eliminato la moratoria sulla pena di morte, 465 persone sono state giustiziate per impiccagione in Pakistan, cioè più di tre a settimana. Lo evidenzia il rapporto sulle esecuzioni capitali stilato da Justice Project Pakistan (Jpp), Ong che difende i diritti dei detenuti. Questi dati fanno del Pakistan il quinto Paese al mondo per condanne a morte, dopo Cina, Iran, Arabia Saudita e Iraq. Secondo Sarah Belal, direttrice esecutiva dell’organizzazione, la questione più allarmante è che la pena di morte, ufficialmente reintrodotta per diminuire i crimini – soprattutto quelli legati al terrorismo –, viene per lo più utilizzata come “mezzo politico”, a volte anche per sgomberare le carceri sovraffollate.

Nel 2014, all’indomani della strage alla scuola militare di Peshawar, compiuta da un commando affiliato al Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp) e costato la vita ad oltre 150 persone (in maggioranza bambini), le autorità hanno reintrodotto la pena capitale per i reati legati al terrorismo. Qualche mese più tardi, le condanne per impiccagione sono riprese per tutti gli altri reati.

Con 382 esecuzioni, pari all’83% del totale, il Punjab detiene il primato sulle altre province, nonostante tra il 2015 e il 2016 il tasso per gli omicidi sia diminuito del 9,7%. Nel Sindh, che ha eseguito 18 condanne, gli omicidi si sono ridotti del 25%. L’analisi evidenzia che il numero degli assassini era in diminuzione già prima del bando della moratoria. Per questo gli attivisti sottolineano che non c’è una correlazione diretta tra pena di morte e diminuzione del crimine o del terrorismo, come testimoniano i numerosi attentati dell’ultimo periodo.

I dubbi dell’organizzazione trovano riscontro nei dati della ricerca, che riportano che solo il 16% delle esecuzioni capitali sono state comminate dai Tribunali dell’anti-terrorismo (Atc), mentre la porzione maggiore delle sentenze di morte è stata compiuta dalle corti distrettuali e di sessione, che non hanno giurisdizione sui casi di terrorismo. Ad un anno dal bando della moratoria, sono state presentate più ordinanze di esecuzione per malati mentali, disabili fisici e offese contro minori.

Saroop Ijaz, avvocato e rappresentante di Human Rights Watch per il Pakistan, lamenta sul quotidiano Dawn che tutti coloro che sono stati mandati al patibolo “erano poveri ed emarginati, carne da macello ideale per la fragile mascolinità di leader che sperano così di provare la [loro] ‘durezza’” e che “non ci sono ricchi nel braccio della morte”. L’avvocato si esprime anche sul sospetto che le impiccagioni siano compiute far posto nelle celle, dato che in Punjab 25 carceri su 27 eccedono la capienza massima. “Il governo del Punjab – afferma – non sta combattendo il terrorismo o il crimine, ma i propri demoni e le proprie insicurezze e, a livello pratico, il proprio popolo. […] Pare che le uccisioni siano un modo per fare spazio. A tal punto è giunta la vita umana in una società brutalizzata e ferita, presieduta da un governo opportunistico e violento”.

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