Padre Ilja, prete-tassista, racconta la sua missione
I superiori gli hanno tolto la parrocchia e lui per mantenere la famiglia guida l’auto per i clienti. Fare il tassista gli permette di essere sacerdote a contatto con la “vita reale”. "L’incontro casuale in una macchina tra sconosciuti può significare per una persona molto di più di tanti appelli infuocati dall’ambone”.
Mosca (AsiaNews) - Ilja Solov’ev, sacerdote ortodosso russo lavora come tassista. Ordinato sacerdote 17 anni fa, laureato in teologia e in storia ecclesiastica, padre Ilja ha deciso di aggiungere un “vero lavoro” alla sua missione ufficiale, un po’ per necessità, e molto per scelta spirituale. Egli dice che fare il tassista gli permette di svolgere il suo ministero a contatto con la “vita reale”.
Sulla sua pagina Facebook, racconta che circa un mese fa, i superiori ecclesiastici lo hanno tolto dal lavoro parrocchiale, che gli permetteva di mantenere la famiglia, ed ha quindi deciso di cercare un’altra fonte di reddito: “Sedendomi al volante del taxi mi sono identificato con gli emigrati russi dopo la rivoluzione, che trovandosi in terra straniera sono stati costretti a guadagnarsi il pane con un lavoro umile, nonostante le origini altolocate e la perduta ricchezza”. Molti sacerdoti in Russia, del resto, affiancano altri lavori a quello affidatogli dalla diocesi, per cercare di arrotondare lo stipendio.
Nominato tre anni fa come parroco nel paesino di Moskovskij, padre Ilja ha ringraziato la comunità con cui ha terminato la costruzione della chiesa, dichiarando di non voler chiedere un’altra parrocchia dopo il trasferimento. Alla domanda dei parrocchiani, risponde di “non vedere alcuna umiliazione nello svolgere un onesto lavoro”.
Ricordando l’esperienza dei preti-operai nella Chiesa cattolica in Europa del secolo scorso, egli sostiene che “per un sacerdote che lavora come i laici, si aprono nuove possibilità di missione, anche se materialmente sembrano essere più ridotte rispetto alla predicazione in chiesa; l’incontro casuale in una macchina tra sconosciuti può significare per una persona molto di più di tanti appelli infuocati dall’ambone”.
Per padre Ilja l’inizio del “lavoro nel mondo” è stato come uscire da un’infanzia dorata: “Bisogna riconoscere che il sacerdote medio non conosce molto bene la vita del proprio gregge, in generale non conosce quasi nulla della vita reale”. Sul taxi egli ha potuto vedere il mondo senza “abbellimenti parrocchiali”: “Le persone parlano con i sacerdoti in modo molto diverso, da come comunicano nella vita comune, anche quando sono contro la religione e il clero”. I parrocchiani spesso vivono la comunità come una specie di “gioco di ruolo”, in cui cercano di presentare la versione migliore di sé stessi.
Nel taxi, il sacerdote sente le conversazioni dei passeggeri al telefono, o tra di loro, senza potersi esimere dall’ascoltarle; si rende conto della volgarità dei giovani, della presunzione e delle cattiverie, come in una specie di “confessione” involontaria. Molti parlano solo di soldi e di guadagni, e quasi mai di libri o di film, comunque di contenuti positivi. Nel linguaggio “di strada” è evidente anche il basso livello d’istruzione e perfino di conoscenza della lingua russa; per esprimersi, molti usano termini gergali e privi di significato.
Padre Ilja crede comunque nella fondamentale bontà degli esseri umani, a cui cerca di rivolgersi sempre con gentilezza, spesso ottenendo risultati sorprendenti di svelamento dell’umanità degli interlocutori. Quando, al contrario, è costretto a “porgere l’altra guancia” di fronte alla volgarità e all’offesa, ritiene comunque di poter dare una testimonianza evangelica. Il prete-tassista non confonde i ruoli, e non cerca di predicare dal volante: “Guido la macchina col timore di Dio, cerco di rispettare le regole ed essere onesto con i passeggeri e i colleghi, di vivere il mio lavoro con vero spirito cristiano… anche questo è un servizio al prossimo, e quindi a Dio. Quindi, buon viaggio!”, conclude il prete che porta gli altri alla meta.