P. Samir: Il nuovo canale di Suez un segno del successo di al-Sisi, amato dagli egiziani
Beirut (AsiaNews) – Anche se molta parte della stampa occidentale continua a rimpiangere Mohamed Morsi “presidente democraticamente eletto”, la gente in Egitto ha un giudizio molto positivo sull’operato di Abdelfattah al-Sisi, ex generale ed eletto presidente da poco più di un anno. P. Samir Khalil Samir, egiziano di nascita, mostra l’apprezzamento della popolazione verso la politica di al-Sisi nel sostegno al progetto del nuovo canale di Suez, nell’approvare le direttive per la sicurezza, nel combattere il terrorismo sul Sinai. Perfino intellettuali musulmani “di sinistra” guardano bene al lavoro del nuovo presidente. Nel suo sguardo verso il mondo arabo, il mondo occidentale è prigioniero di schemi ideologici.
A più di un anno dall’elezione presidenziale di Abdelfattah al Sisi, vale la pena fare il punto sulla situazione. Partiamo dall’ultimo avvenimento, quello del nuovo canale di Suez, inaugurato lo scorso 6 agosto: 35 km nuovi e 37 di ampliamento. Il motivo di questo progetto, definito da molti “faraonico”, è in primo luogo economico: esso permetterà da una parte di accogliere navi più grosse, dall’altra di ridurre di quasi la metà la durata del passaggio, perché permette di andare nei due sensi di marcia. Ci sono diversi aspetti positivi nella vicenda. Da una parte era previsto che il nuovo canale sarebbe stato costruito in tre anni, e in realtà sono occorsi solo 11 mesi. Certo, si è lavorato 24 ore su 24, con 3 turni di 8 ore, il che ha stancato molto gli operai. Per fare questo, poi, si sono dovute espropriare alcune case di ricchi lungo il corso, ma era inevitabile. Nelle previsioni più ottimiste, tutto ciò dovrebbe portare 9 miliardi di dollari di entrate in più all’anno.
L’occidente non capisce al-Sisi
Diversi studiosi occidentali sono più pessimisti: dicono che il commercio marittimo è in diminuzione, che le aziende sono abituate ad altre vie di commercio e non passeranno dal nuovo canale…. Il futuro dirà la verità. La cosa che mi sembra più positiva è che poche settimane dopo la presa del potere di Al Sisi, quando si è lanciata la proposta dicendo che la somma richiesta era di 7 miliardi di dollari, tale somma è stata tutta coperta dagli egiziani in 10 giorni: una novità assoluta. E’ vero, hanno promesso il 12% a chi dava, e questo è un incentivo, ma anche così è un bell’atto di patriottismo, di fiducia nel Paese e nel presidente Al-Sisi, soprattutto dopo la delusione avuta con il suo predecessore.
Ieri sera parlavo con una professoressa dell’università del Cairo, musulmana, un’intellettuale di sinistra piuttosto critica. Le ho chiesto come giudicava la situazione dalla rivoluzione di Al Sisi. Mi ha detto che per il momento è positiva. “Per prima cosa – ha sottolineato - c’è finalmente sicurezza nel Paese. Abbiamo avuto pochi attentati, solo due bombe. Paragonando col passato, all’epoca di Morsi, la sicurezza è aumentata”.
L’insegnante ha fatto notare che vi sono anche segni positivi sul piano economico e sociale. Durante tutto l’anno precedente vi era stata una continua assenza di corrente elettrica, veniva erogata solo per una o due ore al giorno; non si poteva pianificare nulla. Da quasi un anno la corrente non è quasi più interrotta e questo significa che c’è un organismo stabile che cerca di appianare le difficoltà.
La terza cosa che si nota è che vi è uno Stato che funziona. Il primo ministro Ibrahim Mahlab ogni giorno esce con una macchina ordinaria, senza targhe particolari, e passa attraverso la città. Appena vede un poliziotto che usa violenza, che esagera, si ferma, lo prende, s’informa e lo denuncia alla polizia. Questo ha un doppio significato: da una parte Mahlab si comporta come un comune cittadino, senza tutti i privilegi del primo ministro che da noi è come un re. Dall’altra parte egli cerca di mettere di nuovo calma e organizzazione.
Negli ultimi anni, quando vi erano i movimenti della primavera araba, la polizia era diventata esagerata e violenta. Ora, questo sentimento più positivo è apprezzato dalla gente.
Un altro fatto da rilevare è quello sulla condanna a morte di Morsi e dei 138 Fratelli musulmani che hanno partecipato ad atti di violenza. Io ho chiesto: hanno eseguito la condanna? La professoressa mi ha detto: No no, questa è la condanna del giudice, ma l’esecuzione della condanna dipende da un comitato di più giudici che dovrebbe confermare la sentenza. Per il momento, sono passati parecchi mesi, e la conferma non c’è stata. Il sistema egiziano è tale per cui è rarissimo che l’esecuzione sia attuata. Questo è un fatto abituale. L’atto di condanna deve essere riveduto dal comitato dei giudici, che devono poi votare all’unanimità.
La “democrazia” di Mohamed Morsi
Da tutti questi segni ci si accorge che la stampa occidentale è piena di pregiudizi. Molti media occidentali continuano a proclamare che Morsi era il presidente legittimo, il primo presidente eletto dal popolo. Dire questo è una vergogna perché non egli è stato meglio di Nasser, di al-Sadat, di Hosni Mubarak. Ma soprattutto è sbagliato dire che è stato democraticamente eletto, dal popolo – con il 51% - dopo che 30 milioni di persone (secondo statistiche britanniche) sono scesi in piazza per chiedere le sue dimissioni, cosa mai vista nella storia dell’Egitto. L’esercito è entrato in gioco per richiesta del popolo. In Egitto, l’esercito ha sempre giocato un ruolo di protezione della popolazione e per questo ha messo fuori gioco Morsi, gettandolo in prigione, ma una prigione dorata. Questa è la cultura egiziana: non è una democrazia in stile occidentale, che, io credo, in Medio oriente per il momento, non funzionerebbe. Quanto alla polizia, non è preparata per gli scontri di masse, ed è sempre stato l’esercito a sostituirla..
Del resto, la popolazione non è favorevole ai Fratelli musulmani. Tutti hanno visto che in un anno e qualche mese di presidenza Morsi non si è fatto nulla: i prezzi sono lievitati, non c’era nessuna sicurezza e l’economia è caduta a zero. Oggi la gente, malgrado tutte le difficoltà che ci sono e ci saranno, è più contenta, dicono che riusciranno a fare qualcosa. E il nuovo canale di Suez è una promessa per il futuro.
Alcune settimane fa è uscito sul quotidiano “Il settimo giorno”, arabo e indipendente, uno splendido articolo intitolato “Il cimitero dei cristiani melchiti e ortodossi”. È un reportage con una trentina di foto di prima qualità che mostrano questo cimitero di fine ‘800, dicendo “è tutta la Chiesa d’Egitto che è qui. Sono i cristiani che riposano in questo cimitero, sono loro che hanno costruito l’Egitto moderno, l’economia, l’educazione etc”. Mostra queste meravigliose statue – sconosciute, in Egitto, dove tutta la scultura è vietata – riprese dalla tradizione italiana dei grandi cimiteri. Leggendo i commenti dei lettori, ho notato 4 musulmani che sono intervenuti per dire “Ecco i grandi personaggi dell’Egitto moderno! Sono i cristiani che hanno ridato vita all’economia, alla cultura, all’apertura”. È la prima volta che questo si può dire in libertà. Non era così ai tempi di Morsi e in quelli precedenti. Inoltre, per le grande feste religiose dei cristiani, il presidente al-Sisi si è recato nella cattedrale copta ortodossa di san Marco, dove presiedeva il patriarca Anba Tawadros II, per lungo tempo. Altro segno di riconoscimento dell’importanza della comunità copta (9 milioni di cittadini su quasi 90 di egiziani)… cosa che non si è visto all’epoca di Morsi.
La democrazia in Egitto va a piccoli passi
Questo mi ha dato l’idea della liberalità del sistema che si sta attuando, più che parlare di teorie. Siamo lungi dall’essere un Paese democratico, ma nel sistema abituale del Medio Oriente l’Egitto è relativamente democratico. Assicura la prima cosa che la gente chiede e cioè il pane; poi la sicurezza, la tranquillità per progredire e qualche speranza di migliorare l’economia.
Un altro segno positivo è la decisa risposta contro il terrorismo nella penisola del Sinai. Ai tempi di Mubarak, la zona era in mano ai feda’iyyin palestinesi che avevano costruito decine di km di tunnel sotterranei e da Gaza, attraverso il Sinai erano giunti alla frontiera con Israele. Nessuno riusciva a fermarli, né Mubarak, né Morsi, che era d’accordo con loro. Adesso anche se purtroppo abbiamo perso dei militari in diversi scontri, vi sono stati alcuni passi per fermare questo movimento d’invasione terroristica. Anche quest’aspetto mostra che l’Egitto si vuole schierare dalla parte della pace e costruire il suo Paese e il Medio Oriente. Finché sul piano economico, politico e militare vi sarà questa presenza positiva e forte come è adesso, penso che Al-Sisi sarà gradito dal popolo. E, per essere sincero, molta gente in Egitto si chiede : “Perché l’Occidente, Stati Uniti e Europa, hanno tanto sostenuto i Fratelli Musulmani in Egitto, ma non vorrebbero averli nei loro Paesi?”.
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