P. Samir: Hamas "fuorilegge" in Egitto. Un bene anche per i palestinesi
Roma (AsiaNews) - La decisione di un tribunale egiziano di mettere fuorilegge il movimento islamista di Hamas è in linea con la tradizione egiziana e con le richieste della primavera araba. E un bene anche per i palestinesi per i quali - come si vede dai fatti - il dialogo è più fruttuoso della violenza: i palestinesi a Gaza sono in una situazione ben peggiore di quelli in Cisgiordania. Sono alcuni dei punti salienti di quanto ha detto ad AsiaNews il p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano con base a Beirut, in questi giorni a Roma per alcuni appuntamenti accademici.
La decisione presa dal tribunale del Cairo è sostenuta dal governo ad interim, giustificata da motivi di sicurezza: Hamas è accusata di essere "implicata" nei diversi attentati contro soldati e popolazione egiziana nel Sinai, moltiplicatisi dopo la caduta del presidente Mohamed Morsi. Un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri ha accusato l'Egitto di porsi "contro la resistenza palestinese". Bassem Naim, consigliere per gli affari esteri a Gaza ha dichiarato che "una tale decisione mira a strangolare la resistenza e serve l'occupazione israeliana".
Dichiarare che Hamas è fuorilegge è qualcosa che va incontro al modo di pensare degli egiziani. Va ricordato che l'accordo di pace del 1979 fra Sadat e Menachem Begin è costata la vita a Sadat, visto come un traditore da parte dei Fratelli Musulmani. Ma la popolazione egiziana non ha mai considerato Sadat un traditore.
Dire che Hamas è fuorilegge è un modo per affermare che per risolvere i problemi è importante intraprendere la via diplomatica.
Si può capire che i palestinesi, stanchi di tutte le ingiustizie perpetrate di continuo contro di loro da parte di Israele, reagiscano in modo violento e ingiusto. Ma politicamente parlando la violenza non porta a nulla.
Tutta l'azione anti-israeliana al di fuori degli accordi, ha portato Israele a costituire colonie nei territori occupati, prendendo come pretesto le violenze subite e l'esigenza di sicurezza. In questo modo i palestinesi hanno perso via via la loro terra, pezzo dopo pezzo. L'unica volta in cui Israele ha ridato territori arabi è quando ha riconsegnato il Sinai all'Egitto. Esso è l'unico caso in cui Israele ha ceduto parte di ciò che aveva occupato.
L'esperienza storica nel rapporto israelo-palestinese - e il buon senso - dicono che si ottiene di più con gli accordi di pace che con la vendetta e il terrorismo.
Sotto il regime di Mohamed Morsi, si sono fatti accordi più o meno segreti con Hamas, concedendo loro di occupare parte del Sinai. Subito dopo la rivoluzione contro Morsi del 30 giugno scorso, la prima cosa che Hamas ha fatto è stato di attaccare l'esercito - e anche i cristiani, e la popolazione - nel Sinai.
Si può perciò capire che l'Egitto non veda Hamas né come un difensore dell'Egitto, né come un difensore dalla causa palestinese. Hamas è anti-palestinese nei fatti: la situazione di Gaza è infinitamente peggiore di quella dei palestinesi in Cisgiordania.
E' tempo di liberarci dall'ideologia. Una parabola del Vangelo dice: "Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace" (cfr Luca 14, 31-32). Noi siamo in una situazione simile. La Palestina, con il preteso sostegno del mondo arabo ("preteso" perché gli arabi non hanno mai sostenuto i palestinesi. Hanno dato aiuti economici e militari, ma poi li hanno lasciati soli) ha cercato di far guerra a Israele. Ma i palestinesi non possono sostenere il confronto militare con gli israeliani. Anche perché dietro gli israeliani sta l'occidente e in particolare gli Stati Uniti.
Così essendo le cose, l'unico mezzo è il dialogo, per ottenere oggi quanto è possibile, ricostruendo la Palestina oggi, e magari domani ottenere qualcosa di più.
La politica è l'arte del possibile. Ed è questo l'atteggiamento dell'Egitto. Non serve lo stile guerriero di Hamas.
Tutto questo è in linea con la primavera araba. La primavera araba in Egitto voleva costruire un paese più moderno, democratico, uscendo dalla dittatura.
Vi sono stati dei passi: c'è una costituzione più democratica di quella di prima; ci siamo liberati da una dittatura ideologica-religiosa; non ci siamo ancora liberati dalla dittatura militare. Va detto che quella ideologica-religiosa è una dittatura peggiore perché penetra nelle coscienze e paralizza qualunque sviluppo. Essa è contro alcuni aspetti della democrazia: uguaglianza fra i cittadini, fra sessi, fra le religioni, ecc...
Naturalmente in Egitto vi è ancora una dittatura dei ricchi, che influenzano la politica e la società, un po' come in tutto il mondo.
Stiamo facendo passi per ricostruire l'Egitto. Purtroppo tutto il Sinai è sotto il controllo di Hamas. E questo ha spinto alla decisione di bollarli come fuorilegge. Allo stesso modo sono stati messi fuorilegge i Fratelli musulmani.
La decisione del governo egiziano sottolinea un fatto importante: se 30 anni fa abbiamo firmato un accordo di pace fra Egitto e Israele, non possiamo non rispettarlo. Solo così potremo esigere che anche Israele lo rispetti. I problemi internazionali vanno risolti con la diplomazia; quelli nazionali con una maggiore democrazia.
Per arrivare a una piena democrazia in Egitto occorrono ancora molti anni. Occorre anzitutto potenziare l'educazione: non dimentichiamo che il 40% degli egiziani non sa né leggere, né scrivere. E anche chi sa leggere, ha bisogno di essere aiutato a una lettura critica, paragonando vari punti di vista. Ciò suppone un certo livello di vita che permetta di pensare a qualcosa che vada al di là dei problemi della sussistenza e della fame. E' questo che chiedeva la primavera araba: prima il pane, poi l'uguaglianza, la libertà, ecc...
In Siria vediamo l'esempio contrario: qui c'è ancora la scelta per il combattimento e per il sangue e nessuno vuole entrare in dialogo. Il mondo intero a Ginevra ha sperato in una possibilità di pace, ma le due parti non sono disposte ad alcun sacrificio imposto dal dialogo stesso. E così il Paese e la popolazione siriana soffrono ancora di più.